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Mario Giordano: Giorgio Napolitano scomunica il 30% degli elettori

Andrea Tempestini
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Lui non dubita, noi un po' sì. La lunga lettera con cui Giorgio Napolitano si auto-promuove a pieni voti, a un anno dalla sua riconferma al Quirinale, contiene, sotto una dose di cloroformio tipografico in grado di addormentare un cammello, un bel po' di veleno: chiunque abbia osato criticare sua maestà il Presidente viene infatti additato come responsabile di «reazioni virulente», «intrighi» e «faziosità». Lui, poverino, c'è rimasto un po' male perché pensava di essere santificato subito, in virtù del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei mandati presidenziali. Invece nulla: questi sciagurati di italiani gli hanno dato il Colle, ma non l'aureola. E questo è successo «sorprendentemente» e in "ambienti molto diversi", come scrive al «Corriere della Sera» il medesimo capo dello Stato, cui non viene il minimo dubbio che se «ambienti diversi» pensano la stessa cosa, magari, c'è un fondamento di verità. Macché. «Aver pagato allo spirito di fazione un prezzo nei consensi, non mi fa dubitare della giustezza della strada seguita». Non lo fa dubitare. Punto. Del resto, si sa, anche chi prende l'autostrada al contrario è sempre convinto che siano gli altri ad aver sbagliato direzione. E probabilmente, proprio come Napolitano, si chiede: perché mi vengono addosso e hanno delle «reazioni virulente»? OSTINATO E CONTRARIO Comunque, non preoccupatevi, nonostante la direzione di marcia ostinata e contraria, Sua Maestà Napolitano è sereno. Non so se anche questo gliel'ha detto Renzi, durante il suo ultimo colloquio (hashtag: #Giorgiostaisereno), ma il compito «faticoso e ingrato» non ha turbato più di tanto il capo dello Stato, che infatti è orgoglioso per aver mantenuto la «serenità indispensabile». Perciò si loda senza esitazioni e, soprattutto, senza dubbi: il bilancio è «positivo». Non vi sentite già per questo più sollevati? Ebbene: potrete essere ancor più sollevati sapendo che nel terz'ultimo capoverso della lettera Napolitano nasconde la vera notizia: è pronto ad andarsene. Per dirlo ci mette mezza pagina, ovviamente, tra «confido che stiano per realizzarsi le condizioni» e il «distacco comprensibile e costruttivo». In pratica, una mini-supercazzola in sanscrito quirinalizio per comunicare al mondo il seguente messaggio: potrei levare le tende entro breve. Alleluja. Anche noi, adesso, siamo un po' più sereni. Ma non è tutto. Per chi ha resistito all'overdose di retorica, infatti, per chi s'è salvato nello slalom della pomposità istituzionale, passando attraverso l'elogio del quirinalista del «Corriere» Marzio Breda, i salamelecchi a De Bortoli («La ringrazio per il suo caloroso apprezzamento…») e i nuovi interventi al limite della Carta Costituzionale (come quando spiega al Parlamento con quali maggioranze deve approvare le riforme), ecco il premio: al penultimo capoverso arriva infatti la parte più bella, quella davvero rivelatrice del carattere dell'uomo e del suo rispetto per la democrazia. Il presidente della Repubblica scrive testualmente che «l'impegno per l'unità europea è senza alternative». Proprio così: «senza alternative». Si può al massimo «rimotivare» la causa, magari «riaffermarla», naturalmente con «istanze di rinnovamento» e «capacità persuasiva». Ma pensare a un'alternativa no. Quello non è possibile. L'uomo del Colle ha detto no. Ora a Napolitano non sfuggirà che ci sono delle elezioni in arrivo. E che alcuni dei partecipanti al concorso democratico propongono invece un'alternativa all'unità europea, in particolare all'unità monetaria, ma non solo. Se, per dire, queste forze prendessero il 51 per cento dei voti, il Presidente della Repubblica che farebbe? Negherebbe il risultato? Il garante della democrazia disconoscerebbe il risultato della democrazia? Cioè lui, simbolo e emblema della sovranità popolare, calpesterebbe la sovranità popolare perché «l'unità europea» è un valore superiore? E davvero l'unità europea è un valore superiore? Superiore persino al voto dei cittadini? E chi l'ha deciso? ARBITRO IN CAMPO Ma se anche i sostenitori del no all'unità europea fossero una piccola minoranza, il presidente della Repubblica non dovrebbe rappresentare anche loro? Chi sta al Quirinale non è forse l'arbitro? E s'è mai visto un arbitro che con tanta nonchalance si toglie la propria divisa e indossa quella di una delle squadre? Non succede nemmeno quando gioca la Juve, mi perdonino i lettori bianconeri: ed è tutto detto. «L'unità europea è senza alternative», c'informa Napolitano. Ed è come dire: lasciate ogni speranza, o voi che votate. Il vostro parere non conta un fico secco, quel che c'è da decidere s'è già deciso nei palazzi che contano. Ed è per far rispettare questo volere (mica la volontà popolare) che re Giorgio si dà da fare. Il suo è un impegno «irrinunciabile». E resterà tale anche quando sarà sceso dal trono, come annuncia in questo penultimo, sfolgorante, capoverso, prima di chiedere scusa, all'ultimo capoverso, per la lunghezza della sua prosa. Come se davvero fosse quello il peggior difetto della lettera. di Mario Giordano

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