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Piersilvio Berlusconi elogia Renzi ma sotto sotto pensa a scendere in politica: "Mai dire mai"

Giulio Bucchi
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Un tuono pettinato. Accade durante la presentazione dei palinsesti Mediaset a Cologno Monzese, il luogo dei discorsi più rituali del mondo berlusconiano; è qui che Piersilvio Berlusconi pronuncia le frasi più irrituali della sua vita da editore: «La crisi che stiamo vivendo è troppo lunga. Non c'è più un minuto da perdere: come italiano e come imprenditore tifo per le riforme subito e per la fretta del governo. Renzi ha una chance unica e una grandissima responsabilità». Endorsement. Tondo. Inequivocabile. Per il premier. Pier tifa Matteo, «il più grande comunicatore in circolazione dopo mio padre», dice. Ed evoca Matteo tra i tavoli dei cronisti; e ne richiama i gesti («per la prima volta ho usato le slide nel mio discorso di apertura. Del resto le ha usate Renzi»); e ne plaude l'appeal pop con cui ha asfaltato gli avversari (« tifo per questo governo. E chi non lo farebbe per uno che ha preso il 40% dei voti?»). E se gli chiedi di entrare nel dettaglio, di queste benedette riforme, Pier non si tira indietro. Urgono quelle che «fanno ripartire l'economia, buona parte di quelle di cui si stanno occupando il lavoro, le tasse, la giustizia che aiuterebbe gli investimenti dall'estero. Certo, le riforme vanno fatte in fretta ma non devono essere fatte con la fretta, dipende con chi si fanno...». Sulla parola «giustizia» Piersilvio ha un sussulto. Un luccichio gli attraversa lo sguardo. E sibila a braccia conserte: «c'è sempre bisogno di parlarne...»; e lì io, scusate, ci leggo, in filigrana, un ddl sulla responsabilità dei giudici, e il riassetto del Csm. Ma forse esagero. Però. Berlusconi jr che si ribella alla crisi e tifa per la politica nel bel mezzo del discorso ufficiale dell'evento più mediaticamente potente dell'azienda (dove ogni gesto, parola, sorriso sono pianificati maniacalmente) non è sfogo estemporaneo. E' una sparata calcolata, una scudisciata a un'Italia imbolsita dagli scandali e dalla burocrazia, minacciata dal fiscal compact, alla ricerca quasi eroica di un Pil impossibile. A proposito di Pil. La promesse infiammano, ma la crescita dello 0,8% entro l'anno smentisce l'Istat e il buonsenso che mira, al massimo allo 0%, e questo Piersilvio lo sa. E la sua sparata, nel futuro deserto di leadership del centrodestra viene letto da alcuni come un messaggio: «occhio, che se proprio siete alla frutta, io ci sono, io sono pronto». A dire il vero l'idea della «discesa in campo» della casata -da Marina a Piersilvio stesso- non è nuova ma suggestiva. Solo il 20 marzo scorso, prima delle Europee, il secondogenito del Cav, a sorpresa, in tutti i sondaggi e i focus di Forza Italia, era il nome di maggiore gradimento nell'elettorato grazie all'immagine pulita di manager di successo, giovane sì ma non inesperto (ha 44 anni). E, secondo alcuni report sarebbe addirittura secondo solo a Matteo Renzi come gradimento tra i possibili leader del futuro. Considerando che, così, di default, il nome «Berlusconi» vale da solo un 15% anche se accostato ad un'entità gassosa, Piersilvio potrebbe essere davvero la chance per il patrimonio politico del padre. Tra l'altro, il ragazzo è mediatico oltre l'impossibile (a differenza di Marina che odia le folle). E quando gli butti lì «be', se non puoi tu, al limite c'è Barbara», lui ribatte subito: «Be', Barbara è troppo giovane...». Certo, ora, il giovane Berlusconi, si schernisce: «Non se ne parla». E aggiunge: «la politica mica s'improvvisa, bisogna studiare, non basta il nome...». Gli faccio notare che, con quel che offre il mercato, non è che la concorrenza tra delfini sia così agguerrita. «Vero. C'è solo Renzi. E ti pare che io mi butti in politica quando c'è già il più forte di tutti? Non vedo concorrenza. Se continua così vince per vent'anni. A meno che...». A meno che? «..A fine anno non tradisca la fiducia. Non c'è nulla di peggio che deludere le promesse». E lì Piersilvio racconta del figlioletto Lorenzo, la droga emotiva che gli consente ogni giorno di ruminare speranza; un bimbo a cui bisognerrebbe, in effetti, lasciare un Paese migliore. E si lascia scappare che la figlia grande ora si laurea in America; ma che, da padre, le sconsiglierà, a malincuore, di tornare. «Fino a quando qualcosa non cambia». Anni fa avrei messo la mano sul fuoco per un Piersilvio completamente avverso alla politica. Oggi, probabilemente, sarei monco. Sono le due notte, e, dinnanzi ai cronisti stremati, l'erede è ancora lì, al bancone fresco come un fiore di campo, cognachino in mano. Ci manca solo il sorriso che luccica, come nei film americani. «La politica? Comunque mai dire mai...». Mai dire mai. Appunto. di Francesco Specchia  

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