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Il piano di Renzi: al voto con due leggi elettorali

Eliana Giusto
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Matteo Renzi è pronto all'ennesimo azzardo. Il più importante della sua breve e folgorante carriera. Il premier vuole andare alle urne nella primavera del 2015 e questo ormai non lo dicono più solo gli indizi, ma anche le testimonianze convergenti di collaboratori e referenti del presidente del Consiglio, ai quali ha confidato le proprie intenzioni. La frase messa per iscritto nella dichiarazione congiunta rilasciata dopo il vertice con Silvio Berlusconi, secondo cui la legislatura dovrà durare «fino al 2018», vale zero. Lo ha capito benissimo lo stesso Cavaliere, che infatti appena uscito da quell'incontro si è messo d'impegno a ricucire con Angelino Alfano e il Ncd: tipica operazione di recupero che il leader di Forza Italia avvia ogni volta che sente odore di elezioni. Il Capo dello Stato - Vanno lette in questo senso anche le dimissioni che Giorgio Napolitano si appresta ad annunciare a fine anno. Una scelta dettata non solo da motivi di salute, ma anche perché, dai colloqui che ha avuto con Renzi, il Capo dello Stato ha ricavato la certezza che il premier voglia un rapido ritorno alle urne. Una pretesa che Renzi porterà avanti con qualche buona argomentazione: questo Parlamento ha dato tutto quello che poteva dare e occorre allineare l'istituzione ai nuovi equilibri politici, perché dal febbraio del 2013 a oggi è cambiato tutto. Concetti che Napolitano in parte può anche condividere, ma non al punto da sciogliere le Camere e certificare il fallimento del suo secondo mandato, che accettò nella convinzione che avrebbe potuto essere quello delle grandi riforme. Sarà chi verrà dopo di lui, semmai, a decretare la morte anticipata della diciassettesima legislatura. La legge elettorale - Chi teme il voto anticipato confida nel fatto che la legge in vigore, il Consultellum (una sistema proporzionale con soglie sbarramento alte soprattutto al Senato), non conviene a Renzi, visto che il giorno dopo le elezioni lo costringerebbe a formare un'alleanza con Berlusconi, unico in grado di garantirgli i numeri sufficienti per un governo solido (a meno che il segretario del Pd non voglia cercare un'intesa con i Cinque Stelle, come fece Pier Luigi Bersani: auguri). A Renzi conviene l'Italicum, il sistema in gestazione in Parlamento, che assegna la maggioranza assoluta dei deputati al partito che ottiene almeno il 40% dei voti o vince il ballottaggio. Nessun dubbio che quel partito, oggi, sarebbe il Pd. L'Italicum, che dovrebbe diventare legge a febbraio, ha però un problema: riguarda solo la Camera, perché è stato disegnato in previsione della cancellazione del Senato. Ma Palazzo Madama è ancora in funzione. Copia e incolla - L'ipotesi ideale, per Renzi, consisterebbe nel cambiare il testo dell'Italicum, facendo approvare un emendamento che copia le regole della Camera e le incolla al Senato. Purtroppo per lui si tratta di un'ipotesi irrealizzabile. Nell'istante in cui quell'emendamento fosse presentato, la volontà di andare al voto diventerebbe conclamata. Come è stato spiegato a Renzi, non ci sarebbe più alcun vincolo di coalizione o di partito in grado di tenere. Il Senato è pieno di personaggi, anche del Pd, che sanno di essere alla loro ultima esperienza da parlamentari. Si formerebbe una vasta coalizione trasversale formata da tutti coloro che vogliono restare sulla poltrona sino alla scadenza naturale della legislatura. I voti segreti farebbero il resto. Per Renzi, uno schianto annunciato. Camera e Senato - Occorre un'altra soluzione. Ed è qui che viene fuori il Renzi che preferisce tagliare i nodi anziché scioglierli. La sua scelta è semplice quanto spericolata: andare al voto con due leggi elettorali diverse, una per la Camera e l'altra per il Senato. L'esito non sarebbe perfetto, ma rappresenterebbe comunque un miglioramento rispetto alla situazione attuale. Grazie all'Italicum, Renzi avrebbe la Camera sotto il suo diretto controllo. Su 630 deputati, il Pd ne otterrebbe 340. Per di più gran parte sarebbe di provata fede renziana. Vero, un'ampia quota di costoro (non tutti: i capilista sono scelti dai partiti) sarebbero selezionati dagli elettori tramite le preferenze, ma il segretario è convinto che alla fine le sorprese sarebbero comunque poche. Quanto al Senato, dove si voterebbe con il Consultellum, la quota di seggi ottenuti dipenderebbe da quanti cadrebbero sotto la mannaia delle soglie di sbarramento, che sono pari al 20% per le coalizioni, al 3% per i partiti che ne fanno parte e all'8% per i non coalizzati. Se le vittime sono tante, cioè se la frammentazione tra i partiti è ampia, il bottino per i grandi è ricco, altrimenti un partito del 40% come il Pd finisce per ottenere una percentuale più o meno identica di senatori: circa 130 su 315. Renzi avrebbe bisogno, insomma, di allearsi comunque con qualcuno, e la scelta potrebbe ridursi ai soliti Berlusconi e Grillo. Il premier avrebbe comunque due vantaggi rispetto ad oggi. Primo: controllerebbe solidamente il ramo più importante del Parlamento (cosa che il Pd oggi non fa), e dunque nessun dubbio che a dare le carte sarebbe sempre lui. Secondo: disinnescherebbe il fronte interno, grazie ad un'accurata “pulizia” delle liste elettorali. Il successore - Resta da capire se davvero sia possibile andare al voto con due leggi diverse. Renzi è convinto di sì. Chi conosce Napolitano, invece, assicura che mai l'attuale Capo dello Stato avallerebbe un simile pateracchio. Ed è qui che la partita per il Colle si intreccia con quella per il voto anticipato. Siccome Napolitano si dimetterà proprio per non dover sciogliere le Camere, sarà il Parlamento attuale a eleggere il suo successore. Se sarà un personaggio scelto da Renzi, in qualche modo legato a lui e con un debito di gratitudine nei suoi confronti, potrà anche dare via libera alla richiesta avanzata dal premier. Ma se sarà un personaggio autonomo, potrebbe avanzare sui progetti di Renzi riserve simili a quelle di Napolitano. E la storia finirebbe per prendere una piega molto diversa da quella immaginata dal leader del Pd. Anche per questo al premier conviene tenersi caro Berlusconi: altri amici in grado di salvarlo dagli agguati dei suoi stessi parlamentari, Renzi non ne ha. di Fausto Carioti

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