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Roberto Cota, la verità su Matteo Salvini: "Fa bene a portare la Lega al Sud, ma..."

Andrea Tempestini
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Anche reduce dalle peggiori batoste, Roberto Cota dirà che la vita continua. L'ex governatore leghista del Piemonte è di quelle rare tempre che vede il bicchiere mezzo pieno. Eppure, peggio di come gli è andata nell'ultimo biennio c'è solo lo tsunami. Riassumo i suoi guai. Nel 2013 fu accusato di truffa per avere gonfiato dei rimborsi spese. Quest'anno è stato defenestrato dalla presidenza regionale per irregolarità elettorali. E perfino col nostro appuntamento, la congiuntura astrale si è messa di traverso. La Lega può restare autonomista pur cercando voti al Sud? Vota il sondaggio di Liberoquotidiano.it L'intervista era fissata a Novara nello studio che Cota divide col padre, l'avvocato Michele, settantanovenne. Doveva venire da Milano dove abita con figlia e moglie, giudice minorile del tribunale meneghino. Mentre sono in viaggio da Torino per raggiungerlo, telefona con voce pimpante: «Mi si è piantata la macchina. Aspetto il carro attrezzi». «Oddio è un addio all'intervista?», faccio io. «Noo - dice ottimista -. Al massimo ritardo dieci minuti. Vada a studio, troverà papà a farle compagnia». È andata come aveva previsto lui. Il babbo è stato un ospite gradevole e poco dopo, baldanzoso ed energico, è piombato nello studio l'ex governatore. «Fortuna che l'anno è agli sgoccioli. Se no, le direi di farsi benedire», dico io. «Spero certo in un 2015 migliore. Ma sono dell'idea che dal male debba nascere il bene», replica lui sorridente e senza traccia delle due ore passate tra auto in panne e officine. «Lieto del buonumore ma la sua situazione non brilla. Politicamente è fuori da tutto. Come passa la giornata?», chiedo. «Lei vuole stuzzicarmi - dice Cota benevolo -. Sono segretario della Lega in Piemonte e sempre in giro per la Regione. Un lavoro che mi assorbe e dal quale mi aspetto un rilancio del partito. Invece, per vivere ho ripreso con profitto a fare l'avvocato». «La cacciata da governatore per brogli nella sua elezione del 2010, non è un episodio esaltante. Dovrebbe nascondersi», dico brutale. «Sa cos'è veramente successo? - replica lui col tono più gentile -. I voti erano tutti veri e puliti. Quindi nessun broglio. Solo l'autentica delle firme per la presentazione di una lista collaterale è incorsa in irregolarità formali. Su questo si è innescato il delirio. Un meccanismo perverso che ha annullato un'elezione adamantina. Peraltro, il mio successore, Chiamparino, ha problemi ben più gravi: si parla di firme false e voti fasulli». «Venticinquemila quattrocentodieci. Le dice qualcosa?», chiedo a brutto muso. «Gli euro delle spese irregolari che mi sono state contestate. Sono tranquillo e in buonafede. Se ho fatto errori, si vedrà. I 25 mila euro sono tutto ciò che mi è stato rinfacciato in tre anni. Mai ricevuto un imprenditore senza testimoni, mai fatto favori a nessuno. Le faccio un quadro del mio rapporto col denaro: mi sono dimezzato il mensile di governatore da dodici a settemila euro; ho tagliato le spese di rappresentanza da 130 a 30 mila euro annui; anni fa, quando ero sottosegretario di Berlusconi, fui nominato Alto Commissario per la lotta alla contraffazione. Mi avvertirono trionfanti: “Lo sa che per questo incarico aggiuntivo c'è un'indennità ulteriore di centomila euro?”. Risposi: “Ah, sì?” e feci una norma per abolire la prebenda; dulcis in fundo, appena cessato l'incarico di governatore ho rifiutato la scorta e ho anche dovuto battagliare col Viminale perché me la abolissero. Le sembrano gli atti di uno che arraffa privilegi?», conclude retoricamente Roberto. «E il mutandone verde padano comprato a Boston e messo a rimborso?», gli dico per niente scosso dall'elenco delle sue virtù. «Non un mutandone ma un calzone bermuda, finito per errore nella lista di rimborsi e fatto togliere da me dopo un controllo. Ero negli Usa per un corso d'inglese legato al mio lavoro di governatore. Tanto il corso, quanto viaggio e soggiorno li ho pagati di tasca mia. Le pare che dopo essermi sobbarcate queste spese, rincretinisca al punto da farmi rimborsare dai piemontesi dei bermuda da 35 dollari? Suvvia, dottor Perna!». Cota che non ha mai perso le staffe durante la raffica di contestazioni, sgrana gli occhioni chiari e mi fa uno smagliante sorriso. Probabilmente è un onest'uomo, anche se l'eccesso di serenità di fronte ai suoi guai ha un che di incongruente. Con Bossi, di cui fu pupillo, è stato così servile da definire suo figlio Renzo «talento politico» e ha incoraggiato il padre a candidarlo. «Mai pronunciata quella frase. Mai speso una parola per favorire la candidatura di Renzo che, col senno di poi, fu un errore. Altri l'hanno fatto». Anche chi poi si è rivoltato contro Bossi? «Lasciamo perdere. La Lega ha bisogno di armonia». Chi è oggi il vero leader, Matteo Salvini o Roberto Maroni? «Salvini, senza il minimo dubbio. Ed è anche il numero uno del centrodestra. Maroni è importante. Salvini centrale». Con Salvini, la Lega da partito padano autonomista diventa partito nazionale. Ci si ritrova? «Sì. Salvini ha proiettato la Lega in una dimensione più moderna e occupato uno spazio politico vuoto. Ma il partito non deve perdere la sua anima autonomista. Per restare fedele a se stesso l'autonomismo va esportato al Sud». L'obiettivo secessione resta quindi intatto? «Il nostro fine è l'autonomia. Le sue forme - secessionismo, federalismo, ecc - dipendono dal momento storico». Anche lei, nonostante il papà pugliese, ce l'ha col Sud come Salvini, celebre per il coro antinapoletano? «Mai avuto nulla contro i meridionali che mi hanno sempre votato. Salvini ha oggi largamente chiarito il suo rapporto di stima col Sud». L'accordo di Salvini con la destra radicale di Le Pen? «Mi sta bene. La figlia non è il padre. Se Marine diventerà presidente della Francia è perché ha idee chiare e non estremiste». Anche la polemica antieuro è nelle sue corde? «L'euro è stata una fregatura. È un tabù che ci porta alla rovina. Noi lo abbiamo affrontato. Dovrebbe farlo anche chi governa». Si fida di Matteo come si fidava di Umberto? «Sì, allo stesso modo. Con Salvini non ci siamo frequentati più di tanto. Ma io ragiono così: lui oggi è il segretario e va appoggiato. I risultati li ha portati e sarebbe ingiusto remargli contro». Bossi ha voce in capitolo con Salvini? «Hanno un rapporto sereno. Bossi non si misura per il suo potere ma per il prestigio del suo passato e i consigli che può dare». Maroni si lascerà ridimensionare dall'ascesa di Salvini? «Maroni ha fatto la scelta di governare la Lombardia. Quello voleva e quello fa». Flavio Tosi ce l'ha con Salvini: il partito esteso al Sud era un'idea sua. «Fossi in Tosi, che non è uno stupido, metterei al servizio di Salvini l'importante lavoro già fatto da lui per penetrare nel Sud. Per ora, mi accontento di vedere che non ci sono sgambetti tra loro». Lei che fine farà? «Spero di dare il mio contributo. Credo di avere un buon rapporto con Salvini e faccio di tutto per coltivarlo. In politica ci sono alti e bassi. Io sono in risalita e ho solo 46 anni». In realtà, anche la Lega è un nido di vipere. «La politica non è le belle statuine. Si faccia però un giretto nel Pd e in Fi. Io sto meglio qui». Renzi? «Non ne penso bene. Lo aiuta la sua carica di energia e l'appeal. Uno specchio per le allodole che gli ha dato un credito immenso senza un solo risultato concreto. Non scambierei mai un Matteo con l'altro». Il patto del Nazareno? «Un rapporto ambiguo con Renzi che non giova a Berlusconi. Gli serve per stare al tavolo istituzionale ma gli fa perdere elettori i quali vogliono chiarezza e vincere alle urne. Come gli elettori di Alfano che votano ormai Renzi, il Cav rischia di cedere i suoi a Salvini che ha un programma netto». Il Cav è alla frutta? «Può ancora dare molto, ma non candidarsi premier a quasi ottant'anni. Anziché fare il regista di Renzi dovrebbe fare il regista di Salvini». Se l'Italia va a fondo, lei emigra, si batte per la secessione o si rimbocca le maniche per l'intero Paese? «Mi do da fare per salvare il mio territorio. Poi, se possibile, l'Italia, visto che oggi il nostro progetto può andare bene anche ai meridionali». Lo farebbe arricciando il naso? «Siamo (il tono è condiscendente) contenti di dargli una mano». intervista di Giancarlo Perna

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