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Con 35 dissidenti grillinisaltano le grandi intese

Enrico Letta e Angelino Alfano

Matteo Legnani
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La soglia magica, raggiunta la quale si ottiene il controllo di Palazzo Madama, è 160. O, meglio, 159, visto che per prassi il presidente dell'assemblea, in questo caso il democratico Pietro Grasso, non vota. Ma poiché è impensabile, in ogni caso, che una maggioranza si regga su pochi voti di scarto, come dimostrato dall'ultimo governo Berlusconi, un'ipotetica coalizione formata da Pd (108 senatori), autonomisti e socialisti (10), Sel (7) e potenziali dissidenti grillini (35), avrebbe comunque bisogno di Scelta civica per blindare l'Aula del Senato. A meno che l'annunciato smottamento nel gruppo parlamentare grillino, che attualmente conta 53 senatori (uno, Marino Mastrangeli, è già stato epurato), non assuma proporzioni ancora più consistenti di quelle ipotizzate finora. «Se Berlusconi staccherà la spina al governo, piuttosto che tornare alle urne, dove il risultato sarà più basso, credo sia plausibile che molti dei senatori decidano di dialogare col Pd», prevede l'ex grillino emiliano Giovanni Favia. Benedetto Della Vedova, senatore di Scelta civica, nega qualsiasi ipotesi di cambio di campo: «Un governo già ce l'abbiamo, ed è quello fondato su una maggioranza di grande coalizione. La nostra preoccupazione è che funzioni al meglio, il resto non ci riguarda e non ci interessa». Insomma che i montiani, una volta realizzata la scissione nel Movimento 5 stelle, si accodino al Pd, ai ribelli grillini e al resto del centrosinistra per dare vita al «governo di cambiamento» vagheggiato da Pier Luigi Bersani, è fantapolitica. Almeno per Della Vedova: «Dobbiamo lavorare per il governo che c'è. La grande coalizione è una condizione necessaria». Fatto sta che Scelta civica, come del resto ogni gruppo parlamentare, non è un monolite. Al suo interno, oltre agli ex finiani Della Vedova e Aldo Di Biagio, ci sono centristi come Pier Ferdinando Casini e Antonio De Poli, montiani di stretta osservanza come Andrea Olivero e Gabriele Albertini, ma anche ex Pd come Alessandro Maran, il capogruppo Gianluca Susta, Pietro Ichino e Maria Paola Merloni. Quanto basta per avvalorare il timore del Pdl di una possibile diaspora anche tra i centristi. A quel punto il numero di grillini necessari a tradurre in pratica il ribaltone sarebbe ovviamente minore. Per pura ipotesi di scuola, vale la pena osservare che un «pentapartito» Pd-Sel-Scelta civica-transfughi grillini-autonomisti, senza alcuna defezione, supererebbe i 180 seggi.  Il pressing dal centrosinistra sui grillini, nel frattempo, continua. Nel M5s, insiste il bersaniano Enrico Rossi, presidente della regione Toscana, «c'è chi si batte per il diritto di critica e la libertà d'espressione. Io sto con loro. Non mi piace uno che parla per tutti». E inviti a rompere gli indugi arrivano anche da Nichi Vendola, leader di Sel, che accusa Beppe Grillo di « intimidire chi dissente».  di Tommaso Montesano

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