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Pd, da Occhetto a Veltroni fino a Bersani: 25 anni di leader bruciati

Giulio Bucchi
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All'approssimarsi del giro di boa del quarto di secolo (l'annuncio della Bolognina data 12 novembre 1989), per il postcomunismo italiano il bilancio è quello che è: tolto un giro (ancorché nominalmente doppio) di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi in ossequio alla fine del fattore K, non è che la cavalcata degli eredi del Pci nella seconda repubblica sia stata esattamente trionfale. Anzi: segretari consumati uno via l'altro, risultati elettorali al di sotto delle aspettative, alleanze sballate, alchimie mal riuscite. Che la storia non iniziasse sotto i migliori auspici, d'altronde, lo si era capito dal prologo. 4 febbraio '91, congresso di Rimini: il Pci è appena stato archiviato per fare posto al Pds e bisogna eleggere il segretario della nuova creatura. Esito scontato: il timone del partito è destinato ad Achille Occhetto, uomo della svolta e del rinnovamento. Solo che l'organizzazione tira per le lunghe e al momento del voto si arriva quando la platea è già mezza vuota. Manca il numero legale (e vedendo quello che è successo ieri parlare di corsi e ricorsi diventa ancora più legittimo) e l'elezione di Occhetto salta clamorosamente. Le immagini, impietosamente raccolte dal Tg3, del segretario mancato che va al bar del congresso per affogare la delusione nel whisky diventano un cult.   Ben altro ci vorrà per dimenticare quello che viene dopo. Le elezioni del '94 che da trionfo annunciato della gioiosa macchina da guerra si tramutano in una rovinosa disfatta sotto i colpi dell'esordiente Silvio Berlusconi. Le elezioni del '96 che dovevano rappresentare la riparazione per il mancato trionfo di due anni prima e che invece consegnano un centrosinistra con più seggi ma meno voti del centrodestra (questo sempre perché il ritorno al Mattarellum è la soluzione a tutti i mali elettorali). La strage di classe dirigente, con quattro segretari fagocitati: Occhetto e D'Alema dal Pds, Veltroni e Fassino dai Ds.  Al governo non va meglio: la legislatura '96-'01 vede alternarsi tre presidenti del Consiglio (Prodi, D'Alema e Amato). Tanto modesti i risultati (fiore all'occhiello della stagione è l'ingresso nell'euro, figurarsi il resto) e tanto litigiosa la combriccola, che nel 2001 Berlusconi asfalta l'asfaltabile ed apparecchia per il centrosinistra cinque anni di opposizione. Spesi a concentrarsi sul partito: l'embrione del Pd nasce in quegli anni, ed il debutto del nuovo contenitore alle elezioni successive è dato per scontato. Così non è: nonostante il ritorno di Prodi, il listone comune ulivista si fa solo alla Camera, e la novità sfuma. Sfumasse solo quella, il problema sarebbe ridotto. Il guaio è che sfuma anche la vittoria torrenziale che i pronostici della vigilia davano per scontata: miracoloso recupero di Berlusconi e centrosinistra che vince per la miseria di 24mila voti di scarto, gettando le basi per una legislatura ed un governo destinati a passare sì alla storia, ma come esempio negativo. Nel 2008 sembra che il vento sia finalmente cambiato. Il Pd, a quel punto pienamente su strada, candida Walter Veltroni. Il quale, prima ancora di cominciare, predispone il suicidio: sbattuta la porta in faccia alla sinistra e concesso l'unico apparentamento disponibile a Tonino Di Pietro, Veltroni ottiene il duplice effetto di agevolare l'uscita da Camera e Senato degli ex compagni e di portarsi in Parlamento un alleato il cui unico obiettivo è dissanguarlo. A complicare ulteriormente il quadro, Berlusconi alle elezioni fa il massimo storico spedendo il neonato Pd all'opposizione. Non potendosi logorare al governo, ci si logora dunque al partito: il timone del Pd cambierà mani per quattro volte (Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani). Intanto che al Nazareno ci si scanna, a sinistra emergono due nuovi fenomeni: Matteo Renzi e Beppe Grillo. Ad entrambe le pratiche, il Pd metterà mano quando ormai sarà troppo tardi. E siamo ai giorni nostri. Alle primarie disegnate su misura per far vincere Bersani, alle elezioni di febbraio dove il Pd aveva la vittoria in tasca e invece a forza di smacchiare giaguari finisce a a rischiare di non prendere nemmeno il premio di maggioranza alla Camera, ai mesi di umiliazioni in diretta streaming per provare a fare un governo coi Cinque stelle. Fino a ieri, al grande accordo sulle regole che frana sotto i colpi del numero legale. E nemmeno un whisky per mandare giù la rabbia. di Marco Gorra       Vota il sondaggio di Liberoquotidiano.it Chi è il peggior leader della storia del Pd?          

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