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La Romagna vuole il referendum per diventare autonoma

Giovanni Ruggiero
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Il sogno di staccarsi dall' Emilia, di fare regione a sé, esiste in Romagna almeno da una settantina d' anni. Cioè da quando, nel 1946, la neonata Repubblica italiana decise di fare, di due territori che avevano vissuto felicemente separati dai tempi precedenti all' impero romano, un' unica unità amministrativa. Quel matrimonio forzato, soprattutto ai romagnoli non è mai andato giù. Sono nati movimenti autonomisti, sono stati fatti studi, ricerche che spiegano in cosa e perché l' Emilia non c' entra nulla con la Romagna. Quando là c' erano i Galli, qui c' erano Etruschi e Umbri. Quando Ravenna divenne la capitale dell' Impero romano d' Oriente, di qua si formò la Regio Flaminia, di là l' Aemilia. Quando nella striscia padana che da Piacenza arriva a Bologna arrivarono i Longombardi, in Romagna ci fu la dominazione bizantina. E così, felice e separati, fino al Risorgimento. Oggi, a rilanciare il tema, è la Lega Nord che ormai in regione fa risultati a due cifre. Alcuni giorni fa il gruppo del Carroccio, sostenuto dal deputato leghista Gianluca Pini, orgogliosamente romagnolo («sono nato a Bologna per sbaglio ma la mia famiglia è romagnola dal 1733»), ha depositato una risoluzione, a prima firma Massimiliano Pompignoli, capogruppo, che propone due quesiti da sottoporre a referendum. Il primo è una fotocopia di quello che il 22 ottobre si terrà in Lombardia e Veneto per chiedere maggiore autonomia fiscale. Tenuto conto della «peculiarità» del territorio, si chiede «l' attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse», citando l' articolo 116 della Costituzione. In pratica, come spiega a Libero Pini, «se oggi come regione tratteniamo quando va bene il 25% delle tasse, noi proponiamo che rimanga qui il 60%, in modo da poter fare quello che lo Stato o le provincie non riescono a fare: edilizia scolastica, mobilità fino all' assistenza sociale». Non è un discorso egoistico, insomma, semmai il contrario: «Diciamo allo Stato: lasciaci il residuo fiscale e tutte le competenze a cui non riesci a sopperire e con queste risorse le facciamo noi. Quello che avanza lo diamo alle nostre aziende perché diano una mano agli altri». Esempio: «Ho un miliardo in più da spendere in investimenti? Se non mi serve perchè nella mia regione ci sono altre esigenze, lo dò a mille stabilimenti balneari della Romagna perché vadano in Puglia o in Campania a farne altri e insegnare come si fa». Ma il quesito che sta scaldando di più gli animi è il secondo: in considerazione della «peculiarità culturale, storica e geografica» della Romagna, si chiede agli elettori delle provincie di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini e dei comuni dell' imolese se sono d' accordo a creare «una entità regionale autonoma denominata "Regione Romagna" con propria Assemblea Regionale e un proprio Governatore». Chiosa Pini: «Se si fa, scommetto che vanno a votare il 90% degli elettori». E con una vittoria scontata dei sì. Nel 2010 ci fu un altro tentativo: in commissione Affari costituzionali alla Camera vennero presentate due proposte di legge per l' autonomia della Romagna, firmate dallo stesso Pini e da Enzo Raisi (An). Ma la fine della legislatura fermò tutto. Le ragioni della separazione, del resto, hanno una letteratura infinita. Già Dante nel Purgatorio parlava della terra che si stende «tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno». Ci sono diversità storiche, linguistiche. E produttive: «Noi viviamo di turismo e terziario, l' Emilia di distretti industriali e agricoltura, sono due economie diverse». Ma al di là di questo, è un fatto di identità. E comunque, conclude Pini, «la democrazia appartiene al popolo. La prima forma di partecipazione è potersi esprimere». Il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, Pd, si è detto assolutamente contrario. All' uno e all' altro referendum. A settembre, in ogni caso, l' assemblea dovrà pronunciarsi. «La sinistra ha paura della Romagnexit perché sa che se il popolo si pronuncia, dice di sì», insiste Pini. I sindaci lombardi, però, compresi quelli del Pd, alla fine, nonostante le titubanze di Roma, si sono schierati a favore del referendum per l' autonomia. Sarà interessante vedere cosa faranno i colleghi emiliani e romagnoli. di Elisa Calessi

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