Giorgia Meloni a "Libero": "No all'autonomia, porta alla secessione"
Non mi sono chiare le finalità dei referendum per l'autonomia di Lombardia e Veneto e credo che non siano chiare a tanti italiani. La confusione nasce dalle diverse dichiarazioni degli stessi sostenitori dei referendum: alcuni parlano di un primo passo verso l'indipendenza, altri di una questione che riguarda solo la gestione delle entrate fiscali, qualcuno dice che è una battaglia per il Nord, altri che è un cambiamento per il bene di tutta l'Italia. Vale la pena provare a fare ordine sul tema. L'autonomia tappa verso l'indipendenza del Nord? È la tesi di molti sostenitori del referendum, di chi parla di «Venexit», di «Libertà del nord» o di chi rivendica apertamente la storica battaglia della «indipendenza della Padania». Inutile girarci attorno: è vero che il referendum è sull'autonomia e non sulla secessione, ma qual è la finalità di parte delle realtà che lo sostengono? Perché lo dico molto chiaramente: non credo nelle "piccole Patrie" e sono convinta che la Patria, quella vera, sia l'unico argine rimasto alla deriva mondialista e alla globalizzazione incontrollata. Sono certa che i tecnocrati europei, la BCE, gli speculatori finanziari, i lobbisti e il grande capitale preferirebbero avere a che fare con le piccole "Catalogne" di tutta Europa piuttosto che con Stati forti e coesi. Difendere l'unità d'Italia vuol dire difendere la nostra identità, la nostra libertà e la nostra sovranità. Nessuna concessione da parte mia a spinte indipendentiste. Un referendum "solo" per trattenere parte delle entrate fiscali? «Nessuna indipendenza, Lombardia e Veneto sono solo stanche di regalare soldi al resto d'Italia», è la tesi ufficiale di chi ha voluto il referendum. La Lombardia ha un residuo fiscale di 53 miliardi l'anno e il Veneto di 18: sono soldi che vanno al resto d'Italia e qualcuno vorrebbe rivedere questa situazione. Comprensibile che molti lombardi e veneti siano fortemente motivati su questo punto ma, anche qui, le cose sono più complesse di come appaiano. Uno Stato unitario ha come riferimento l'unità economica del territorio ed è perciò costretto ad effettuare le scelte di politica economica, industriale, infrastrutturale, trasportistica con una visione nazionale e non locale. Cambiare le regole del gioco si può ma ha ripercussioni ben più ampie di quanto si creda, non solo in ambito economico, ma anche politico. Perché se non è più indifferente se una impresa produce in una Regione piuttosto che in un' altra, allora diventano inevitabili l'antagonismo tra le Regioni, antagonismo che potrebbe andare a discapito anche delle stese Regioni più ricche. Anche perché le rivendicazioni fiscali potrebbero non fermarsi a livello regionale, ma penetrare più in profondità. Per quale motivo, ad esempio, gli abitanti della provincia di Milano dovrebbero condividere la loro ricchezza con quelli della provincia di Pavia che hanno un reddito pro-capite che è meno della metà del loro? È giusto che i milanesi paghino la sanità ai pavesi? Aprire il vaso di Pandora dell' interesse particolare può riservare sorprese inimmaginabili. Un altro discorso è dire che la finalità dei referendum è quella di aprire una discussione a livello nazionale per rivedere in modo unitario il grado di autonomia di tutte le Regioni italiane come, mi pare, nelle ultime dichiarazioni lasci intendere lo stesso Matteo Salvini. In quest'ottica Fratelli d'Italia non ha nessuna contrarietà, così come lo ha più volte espresso in Lombardia e in Veneto. La proposta di Fratelli d' Italia è da sempre molto chiara: rivediamo l' assetto complessivo dello Stato per valorizzare le autonomie locali senza mettere in discussione l' unità nazionale. È la storica battaglia della destra italiana: presidenzialismo con elezione diretta del capo dello Stato e del Governo e, in un quadro di rafforzata identità e sovranità nazionale, aprire ad una maggiore autonomia a livello locale. Nulla di nuovo sotto il cielo d' Italia: eravamo, siamo e saremo sempre dei patrioti. di Giorgia Meloni