Renato Farina, l'amarissima verità sull'Italia e la scemocrazia: cosa ci nascondono i politici
Una frase è stata pronunciata ieri su cui è impossibile dissentire. L' ha detta Silvio Berlusconi in Molise: «Siamo disgustati». Ci copia. Senza accorgerci stava citando Libero a pagina 1, 7 e 27 nelle edizioni quotidiane dell' ultimo mese e mezzo. Dopo di che il Cavaliere ha invocato, onde salvare la democrazia, il soccorso di «persone sagge, con la testa sulle spalle». Ma dove? Per esprimerci in modo salace, la scena è gremita di personaggi la cui testa, al contrario, penzola sulle palle. Una recita penosa. Assistiamo e assisteremo ancora per chissà quanto alla commedia più lunga e noiosa della storia repubblicana, senza neppure guizzi da saltimbanchi, o balzi da cavalli di razza. Questi 47 giorni hanno offerto al mondo lo spettacolo di una democrazia sfibrata, liquefatta, eppure vergognosamente fastosa e allegra, con tutti quei corazzieri e pinguini che aprono e chiudono porte intagliate da artisti sprecati. E questa sarebbe la rappresentazione della democrazia avanzata del terzo millennio? Cambiamogli nome: va bene «dementocrazia»? Anzi «scemocrazia», come Massimiliano Parente ha definito genialmente nel suo libro appena uscito e di cui pubblichiamo un capitolo il sistema in cui stiamo soccombendo senza gloria. Disgustati? Sì. La questione è che nessuno, neppure il Cavaliere che lo constata, viste le liste nate per perdere con cui ha gareggiato, può svolazzare da candida colomba sopra questa compagnia. La quale va cozzando contro i muri affrescati per ben altri scopi dei più damascati palazzi, in un giro dell' oca, dove non vince nessuno, ma ci si limita a strapparsi le piume come in una guerra adolescenziale dei cuscini. DI MAIO NUOVO MOSÈ Scemocrazia? Eh sì. E non è che la colpa sia solo dei politici di oggi, e neppure di quelli di ieri che ci hanno sistemato in un castello para-democratico di cartapesta fradicia. Ma anche degli italiani. Diciamolo: ci meritiamo questo teatro dell' assurdo: in fondo per settant' anni abbiamo confermato con il voto questo sistema con relative leggi elettorali, fino alla prova definitiva della cretineria popolare. Se trentatré italiani su cento hanno scelto un Luigino Di Maio come nuovo Mosè, stiamo freschi come le sue bibite che stappava allo stadio di Napoli. Ci va benissimo che nel suo curriculum di statista Giggino riferisca che l' unica attività notevole sia stata il venditore di chinotto, un' ora la settimana se no si strambava. Il problema è che ha fatto quel mestiere non per mantenersi all' università come certi geni americani, ma per non studiare. Anzi per meditare sulla nostra rovina. E così ci troviamo dominati dal 4 marzo dalla figura di questo Cacasenno di Torre Annunziata. Avete in mente le antiche storie di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno? Cacasenno è il nipote del furbissimo Bertoldo. Cacasenno è un «turlulù» che sputa sentenze e morirà d' indigestione a corte. Giggino è tale e quale, ma il rischio è che se lui creperà d' indigestione, noi periremo di dissenteria. Parla come un oracolo, si sente una specie di general Cadorna, e ordina la fucilazione di questo o quel politico come gli garba. Come dargli torto? La sua ascesa irresistibile voluta dagli italiani è la prova che almeno da noi gli asini volano. Lui vola, e raglia, e scalcia. Chi lo butta giù? Dicono che sarà il suo odioso nemico interno, Roberto «Bertoldino» Fico. Ci tocca riferire un po' di cronaca. A Maria Elisabetta Alberti Casellati ieri al Quirinale mancava solo il casco bianco con la veletta alla Livingstone. Ha trovato le sorgenti del Nilo? Macché, è rimasta impantanata nelle paludi tiberine. Il risultato della sua esplorazione africana tra tribù ostili ci sta in una parola: fiasco. Lei l' ha avvolta di seta, l' ha cotonata di speranza, ma Mattarella ha capito la solfa padovana: nisba. Bel risultato delle 7 settimane da criceti. Due giri dal Capo dello Stato. Due volte avanti indietro dal presidente del Senato. Sintesi: finzioni, moine, e alla fine botte da orbi, tra tutti quanti. Almeno soffrissero. Ma no, soffriamo noi. Loro godono a suonarsele, come in certi spettacoli di wrestling dove i contendenti saltano su come fossero di gomma. Lo stato di questo teatro senz' arte è a tutt' oggi questo: Di Maio annusa Salvini, con cui vuol formare un contratto matrimoniale a due. Matteo, che ha poco più della metà dei parlamentari del pretendente, non vuole fare il socio di minoranza della Ditta, e vuole portarsi con sé nel nido d' amore, Berlusconi e Meloni. Ma Luigino non vuole in casa il suocero Silvio e la suocera Giorgia. Esige bensì di incamerare come dote di nozze i loro voti, dato che pecunia non olet, ma poi stiano zitti e mosca. Risultato? No, sì, boh? A Salvini non dispiacerebbe un passo indietro del citato duo, garantirebbe per tutti, dice, e poi conta il programma. Appunto. Che razza di programma potrebbe esserci? Berlusconi manda al diavolo i 5 Stelle, e annusa un governo di centrodestra con il sostegno del Pd renziano. Tra il leghista e il forzista il gioco sembra essere quello di vedere chi per primo rompe con l' altro per poterlo etichettare come traditore, e darsi poi a liberi amori. Prevale per ora un nervoso non-ci-sto-arrivo-io di Salvini. NUOVO GIRO In conclusione. Lunedì si ricomincia. Nuovo giro innescato da Mattarella. Tocca a Fico. Pare che Mattarella spinga per un accordo a sinistra. Fico non gli dispiacerebbe come premier. Era considerato un rivoluzionario, ma la carica istituzionale lo ha lavato con l' aceto togliendogli selvatichezza, e ha assunto le mosse pompose da Fidel Castro che incanta anche i Papi. Verrebbe buono per baciare Renzi e risvegliare la finta bella addormentata avvelenata dalla mela del referendum. O Biancogiglio Renzi preferisce un principe questo sì davvero azzurro, e che di nome fa Silvio, anche se meno Fico a causa dell' età? Scemocrazia, appunto. Fino a quando? Boh. di Renato Farina