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Antonio Socci, così Matteo Salvini si è mangiato Luigi Di Maio

Davide Locano
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C'è un rischio da molti evocato, ovvero che l'attuale crisi politica diventi addirittura una crisi istituzionale coinvolgendo la presidenza della Repubblica. Ma nessuno spiega come e perché può accadere. Invece è facile capirlo. Lo stallo fra i partiti diventa crisi istituzionale se il presidente Mattarella da arbitro diventa giocatore e si trasforma in un nuovo Napolitano o - Dio non voglia - addirittura in un nuovo Oscar Luigi Scalfaro, cioè se decide di eludere il voto degli italiani e s'inventa l'ennesimo disastroso governo tecnico (una riedizione di Monti). Per la verità Mattarella finora ha sempre fatto capire che non è sua intenzione emulare i Napolitano e gli Scalfaro. Il suo profilo è piuttosto quello del garante, qualcosa di simile ai presidenti democristiani della prima Repubblica. Ma resterà tale? Dov'è che ha fatto capolino il rischio di una trasformazione? Leggi anche: Capolavoro Di Maio: si auto-umilia dall'Annunziata in diretta tv Qualcosa del genere si è intravisto nell'atteggiamento del presidente verso la coalizione più votata del 4 marzo, cioè il centrodestra, e nella sua discreta preferenza (sottolineata dai giornali) per un'alleanza fra M5S e Pd, che ha cercato di propiziare con la sua “moral suasion” indirizzata al Pd, favorita dal desiderio di quei notabili di restare attaccati alle poltrone. Solo Renzi poteva sventare un pateracchio del genere che sarebbe stato un monumento al trasformismo e un ceffone in faccia agli elettori e lo ha fatto alla sua maniera sbrigativa. Pare che il leader fiorentino non abbia apprezzato il pressing del Quirinale sui fragili vertici del Pd (l'autoreggente Martina, Franceschini e compagni). Non si può ancora dire che Mattarella stia cambiando i vestiti scuri dell'arbitro con la maglia del giocatore, ma lo si capirà lunedì con la decisione che prenderà. IN ATTESA Infatti a Matteo Salvini, che - pur di trovare una soluzione - ha ora avanzato una proposta minimale, a tempo, finalizzata ad alcuni obiettivi concreti e che ha come base il centrodestra, il Quirinale sembra voler rispondere picche. Ieri, sul Corriere della Sera, Francesco Verderami spiegava: «Dal Quirinale era giunto un messaggio chiaro: “Niente numeri certi, niente incarichi”». Messaggio amplificato dal titolo di apertura della prima pagina di Repubblica che suonava così: «Dal Quirinale un no a Salvini». In sostanza - fanno sapere dal Colle - il presidente Mattarella non intende dare un “incarico al buio” a un nome indicato dal centrodestra che poi va a cercarsi i voti in Parlamento. Deve avere prima la maggioranza certa dei voti e mostrargliela. È una posizione discutibile, tuttavia legittima. Ma se questo vale per il centrodestra - che in Parlamento dispone della base di voti più ampia, non lontana dalla maggioranza assoluta - a maggior ragione la stessa “pregiudiziale” di Mattarella deve valere per chiunque altro. Tanto più deve valere per “governi tecnici” o “del presidente”, per i quali si fanno nomi di personaggi mai presentati alle elezioni e che non sono indicati da nessun partito. Un tale governo tecnico sulla carta non può assolutamente esibire preventivamente “numeri certi”, come il Quirinale pretende da Salvini, perché non aderiscono a una soluzione del genere né il M5S, né la Lega, quindi - se la matematica non è un'opinione - i “numeri certi” non ci sono. Ciò significa che se Mattarella incaricasse (o pre-incaricasse) uno dei nomi “tecnici” che vengono fatti, mandandolo a cercare voti in Parlamento, verrebbe meno alla “regola” che ha imposto al centrodestra e assumerebbe un atteggiamento di parte, discriminatorio verso la coalizione maggioritaria. LA SOVRANITÀ Come potrebbe giustificare una tale scelta? Dicendo che l'Europa (ovvero la Merkel e Macron) preferisce un “tecnico”, cioè un “signorsì” di Bruxelles, a Salvini?  Ma non risulta che la Costituzione italiana attribuisca la sovranità sull'Italia alla Merkel o a Macron. L'attribuisce agli elettori italiani e Mattarella deve essere il custode e il garante della Costituzione. Non della Merkel. Altrimenti così governerebbe il “partito straniero”. Oltretutto il comportamento politico di Salvini in questi due mesi si è fatto notare per serietà e senso di responsabilità. Infatti nei sondaggi non solo la Lega guadagna molti punti percentuali (e con essa tutto il centrodestra), ma lui - come leader - ha conquistato la massima fiducia degli italiani. Secondo Pagnoncelli è passato da un 34 del luglio 2017 al 44 di oggi, superando Gentiloni e Di Maio. Un risultato dovuto alla coerenza, al senso di responsabilità e alla sua disponibilità personale a farsi da parte per favorire soluzioni nell'interesse del Paese.  Caratteristiche che, a parere degli italiani, sono mancate completamente a Di Maio, il quale è sembrato troppo tarantolato dalla smania di conquistare a Palazzo Chigi, dicendosi pronto a trattare sui contenuti, con questi o con quelli, pur di andare al governo e di andarci lui personalmente. Salvini ha dimostrato di essere un vero leader politico. E, per il nostro Paese, di questi tempi, è decisamente una buona notizia.  di Antonio Socci www.antoniosocci.com

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