Matteo Salvini, la profezia di Farina sul leghista: "Se tiene duro...", così piegherà Di Maio
Il pallino ce l' ha Matteo Salvini. È il kingmaker, il maschio alfa, il fattore dominante - fate voi - delle due maggioranze di cui è parte. E qualunque cosa decidano i suoi soci, può solo vincere e consolidare questa preminenza. Una volta Andreotti spiegò la filosofia dei due forni: o di qua o di là. Di Maio ha riproposto dopo il 4 marzo la stessa immagine. Salvini è oltre. Il pane lo infila contemporaneamente in due forni: e con i Cinque Stelle e con il centrodestra. Dall' aut-aut all' et-et. Gode di due maggioranze: una a Roma; l' altra nelle regioni e nelle città. In entrambi i casi è lui a comandare. Qualunque cosa succeda, come dicono gli americani, il risultato è e sarà win-win. Guai però a farsi tradire da un eccesso di sicurezza. Leggi anche: Di Maio sotto processo per il disastro elettorale: l'accusa gravissima da dentro il Movimento È vero che è l' insuccesso dà alla testa più del successo, ma dalla sindrome del pallone gonfiato nessuno è vaccinato. Pertanto deve mostrarsi decisionista, come finora è stato, con perfetta coerenza tra programma e azione; ma è il caso mostri magnanimità, riuscendo a essere cioè sorprendente, se vuole consolidare questo stato di grazia. Come? Qui si gioca la sua arte. Gli tocca dimostrare che non è solo un tattico abile e duro, come si è visto in questi mesi, ma anche un leader carismatico, uno che sa catturare i demoni (o gli angeli) che agitano questo momento storico, e indicare una strada dove dirigere le speranze che ha suscitato. Sia chiaro, non stiamo estraendo da mistiche stravaganti il manuale per l' Uomo del Destino, ma questi venti della storia che agitano popoli e genti, esistono. E come essi si incarnino in interpreti più o meno saggi, sono processi già studiati nel secolo scorso da Weber e Pareto. FATTI STUPEFACENTI Osserviamo alcuni fatti abbastanza stupefacenti. Matteo Salvini doveva essere il socio di minoranza di un governo dove il premier è stato scelto dai 5 Stelle, che hanno il doppio dei suoi parlamentari. I numeri, i maledetti numeri lo condannavano alla subalternità. Noi stessi credevamo che questa condizione d' inferiorità avrebbe ben presto consumato il consenso della Lega e del suo segretario, come è sempre capitato agli junior partner negli Stati dove le elezioni costringono ad alleanze improprie. Si veda il caso della Germania, dove Angela Merkel ha sgonfiato e diremmo evirato i socialdemocratici ridotti al ruolo di ancelle infelici. Lo credeva anche Luigino Di Maio, bene indottrinato da Davide Casaleggio: non a caso ha rievocato costantemente il contratto alla tedesca per giustificare con la base riottosa l' accordo con la Lega. Ed ecco che la realtà ha contraddetto la matematica, e così a comandare c' è lui, Matteo. Non certo il poliglotta professor Giuseppe Conte, il quale tornato dal Canada sembra uno timoroso che qualcuno gli dia un pizzicotto svegliandolo mentre cammina sulle acque, anzi un metro sopra di esse: di certo comunque non ha ancora messo piede per terra. Di Maio, che in aritmetica è più forte che in sintassi, perciò non si dà pace. Ripete a se stesso: «Noi 33%, loro 18%», e allora perché a spostare l' asse su cui girano le cose italiane è il suo collega, sulla carta vice come lui, ma solo per modo di dire? La politica è strana, è fatta di rapporti di forza, ma somiglia molto al calcio, che Gianni Brera definì un mistero agonistico. C' entrano i già citati demoni (o, sperabilmente, angeli), ma, lasciandoli un momento nelle viscere dei popoli, conta tantissimo l' intelligenza politica concreta. E fin qui Salvini è stato maestro. Ora è decisivo che sappia davvero conformare alle sue idee e direttive gli snodi del potere operativo e di solito opaco, scegliendo per i posti chiave (autorità nazionale per la sicurezza, capi della polizia, intelligence), uomini e donne che non rispondano a camarille antiche. Dal 4 marzo in poi ha fatto filotto, come del gioco del bigliardo vengono giù tutti i birilli, accumulando punti su punti. Ora Salvini è in grado di dare scacco matto, anche senza darlo, senza neppure minacciarlo, ma applicando quella teoria dei giochi in cui il suo intellettuale di riferimento, Paolo Savona è maestro. Salvini può permettersi di tirare la corda finché vuole, perché la sua azione non ha limiti oltre cui fermarsi. LA DIFFERENZA Mentre i Cinque Stelle sì. Costoro non possono rischiare di rompere e andare ad elezioni. Se dicessero no a Salvini e alla sua politica sulla migrazione, si troverebbero a fare i conti con nuove elezioni. Lo facciano, e la vittoria del centrodestra sarebbe a mani basse. Ma non lo faranno anche perché Di Maio, Fico, Toninelli, Grillo, tutti i capi attuali insomma, non potrebbero più presentarsi nelle liste per nuove elezioni. Dài Matteo, osa! Porta subito in consiglio dei ministri e in parlamento i punti di rottura col passato: gli alleati di centrodestra sono una riserva pronta a colmare con i loro voti le eventuali defaillance per ragioni di coscienza dei grillini di sinistra. Non farebbero mai cadere un governo che pure li vede oppositori, visto che molti dei parlamentari sarebbero rieletti, dato il travaso di consensi popolari verso la Lega. Avanti allora con la flat tax, o quanto possa somigliare, anche con altri nomi, all' abbattimento delle tasse per famiglie e imprese. Nessuna arroganza, con dolcezza, ma niente rinvii, e il filotto continua. di Renato Farina