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Matteo Renzi, Senaldi sull'ex segretario Pd: "Perché sputa sul suo partito: e fa bene"

Gino Coala
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Non c' è più niente da fare, ma è stato bello rottamare. Matteo Renzi ha disertato l' assemblea del Pd. Il segretario Martina si è dimesso, con lui sono decaduti tutti gli altri dirigenti, tranne il tesoriere Bonifazi, ed è partito il lungo e noioso iter del congresso Dem. Tutti i candidati a dirigere il carrozzone erano in prima fila, ma l' evento vero di ieri è la defezione dell' ex premier, il che dimostra che sa ancora fare più notizia lui dei suoi potenziali sostituti. Matteo ha sciolto dopo decenni il celebre dubbio di Nanni Moretti: mi si nota di più se non vengo o se vengo e mi metto in disparte? Siccome lui in disparte non ci sa stare, non è andato, e si è preso la scena. Leggi anche: Renzi, perché l'ex premier non c'era all'Assemblea Pd: il piano per farsi un nuovo partito Gioco facile, visto che l' anfitrione era Martina, al cui discorso d' addio nessuno era interessato, lasciando egli un' eredità magra nei consensi e impalpabile quanto a contenuto politico. C' è chi interpreta la diserzione con l' intenzione di non togliere la scena a Minniti, il candidato semi occulto di Renzi, altri addirittura con il desiderio di non danneggiarlo, perché di questi tempi nel Pd il bacio di Renzi, su chiunque si depositi, rischia di essere quello della morte. Ma sono chiacchiere, tanto più che l' ex ministro dell' Interno ieri si è subito scrollato di dosso la benedizione del leader fiorentino. Più verosimilmente, l' ex premier si sarà voluto risparmiare lo spettacolo di chi è saltato sul suo carro e ora si strugge, divorato dal dubbio su dove gli convenga riaccasarsi. O magnanimamente, anche se non è da lui, avrà voluto evitare ai suoi ex compagni di viaggio opportunisti l' imbarazzo di mostrarsi in saldo di fronte a lui. Ma la risposta forse è ancora più logica e banale. Matteo, essendo il più sveglio del gruppo, avrà capito che il partito ormai si è sfaldato e non vale neppure più la pena di impegnarsi per rappattumarlo. Non c' è più niente da fare e non è escluso che, dopo aver assistito dalla tribuna al Pd che si schianta alle Europee, dimezzando il famoso 41% del 2014 a cui Renzi lo portò e che fu il picco massimo mai toccato, egli non decida di costruire qualcosa e di allestire una forza sua, che non c' entri più molto con i Dem. Magari raccattando anche quel che resta dell' elettorato, non certo della corte, di Berlusconi. Molti nel partito avranno provato un senso di liberazione nel non vederlo aggirarsi nella sala dell' assemblea. Ancora di più sono quelli che avranno goduto fuori dal Pd, perché adesso aspirano a rientrarci per portarlo ancora un po' più giù. Si tratta della nutrita schiera di trombati di Liberi Uguali, il partito di Grasso diventato scheletrico in tre mesi, e forze affini. I compagni saranno sollevati dal fatto che i candidati alla successione del rottamatore sono tutti ex iscritti al Partito Comunista, il che è garanzia che la sinistra tornerà indietro anziché andare avanti e il processo di derenzizzazione cancellerà tutto quello che di moderno, progressista e sensato l' ex premier ha fatto per gli orfani inconsolabili di Berlinguer e Togliatti. Meglio per la destra, che tornerà ad avere come rivale una sinistra che contenderà a Cinquestelle le battaglie per l' immigrazione incontrollata, l' assistenzialismo, il ritorno dei sindacati, le manette facili, l' ambientalismo infelice e tutto l' armamentario che da decenni inchioda i compagni agli anni '70. IL SUCCESSORE SARÀ PEGGIORE Se infatti il Pd pensa, liberandosi di Matteo, di risolvere i propri problemi, si sbaglia di grosso, esattamente come quando si illudeva che sarebbe bastato togliere di mezzo Berlusconi per marciare compatti verso il Sol dell' Avvenire. Vinta la battaglia contro il Caimano, i Dem scoprirono di non aver seminato nulla per vent' anni, così arrivò Renzi, che è stato l' effetto, non la causa dei guai della sinistra. Adesso il film si ripete, anche se i tempi sono più brevi. Il fiorentino è salito sul Pd come su un tram, ma a differenza dei partecipanti all' assemblea di ieri aveva chiara la direzione, una sinistra moderna, non ideologica e che puntasse allo sviluppo economico, ed è proprio questo che chi gli fa la festa oggi non gli ha perdonato. Poi certo, ci sono i difetti dell' uomo, soprattutto il suo amore per il potere e i potenti che non riusciva a nascondere proprio mai, come l' incontrollabile soddisfazione per avercela fatta, che gli sprizzava da tutti i pori e che gli italiani non gli hanno perdonato, perché guai a giocare con l' invidia altrui. Che Renzi resti nel Pd da comprimario o cospiratore, se ne vada per tentare ancora la fortuna, come sarebbe auspicabile, o decida di impegnarsi altrimenti, una cosa sembra certa, il suo successore non sarà migliore di lui. di Pietro Senaldi

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