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Pd alla frutta, esulta per la sconfitta di Zedda in Sardegna: paradossi democratici

Davide Locano
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Su mundu est tundu, e chie non ischit navigare falat a fundu", il mondo è tondo e chi non sa navigare cala a fondo, sussurravano in questi giorni tonanti, i pastori sardi (che stavolta non votavano, impegnati com' erano a sversare il latte sulla coscienza di una nazione). Chi non sa navigare, affonda. Non è un caso che, nel Pd, oggi, hanno esposto la ciurma e nascosto i nocchieri. È per questo che Massimo Zedda, 42 anni, l' uomo-vessillo già di Sel e poi del Campo progressista di Pisapia, il candidato-baluardo dei democratici alle Regionali sarde, ieri sorrideva ingollando un caffè. Lo faceva rintanato nel suo quartier generale, tra centinaia di sostenitori esultanti alla notizia del suo illustre secondo posto, 33,6% dietro il 47% del candidato di centrodestra Christina Solinas, il "trota sardo" e l' 11% di Francesco Desogus, pentastellato rimasto ancorato ad un riottoso 11%. Zedda è persona dabbene e amministratore stimato. Come sindaco di Cagliari al secondo mandato (quello in cui, di solito, si cade), raggrumava un consenso trasversale. Ed è per questo che, nella sua campagna elettorale, l' uomo ha preferito tenere alto il suo profilo e, contemporaneamente, bassissimo quello del partito allontanando perfino i leader nazionali del Nazareno dai suoi comizi. Per usare una vecchia metafora di Ernesto Galli Della Loggia negli anni 90, è come se la quercia si fosse rannicchiata all'ombra dei cespugli. Una raffinata scelta strategica. MEGLIO DELLE ATTESE «Siamo andati ben oltre le aspettative. Ci davano per inesistenti, invece ci siamo, eccome. Abbiamo battuto il Movimento 5 Stelle, la prossima volta batteremo il centrodestra», ha commentato Zedda, da dietro la tazzina. E ora dovrà decidere se rimanere sindaco di Cagliari o se fare il consigliere regionale: «Devo valutare». Valuterà, Zedda. Ma chi deve davvero valutare sul proprio destino, in una sorta di lavacro penitenziale che passa dall' apocalisse all'"onorevole sconfitta", è il partito democratico. Certo, in Sardegna, il Pd nei parziali risulta essere primo partito, per il contemporaneo tonfo del M5S e la redistribuzione di voti nel centrodestra, che ha abbattuto Forza Italia a vantaggio della Lega. S' è ripetuto il risultato dell' Abruzzo con l' altro candidato Giovanni Legnini, l' unico che abbia mai visto stappare Champagne per esser stato sconfitto. Ed è questo il paradosso. Il Pd, oggi, ride ancora, è ebbro di felicità. Ma ridi ridi, che mamma ha fatto gli gnocchi. Occorre che al Nazareno la buttino sull'autocoscienza e facciano qualche considerazione. L'operazione di "allargare a sinistra" indica confusione romanzesca. Sì, il centrosinistra, allargato a Leu, guadagna circa 10 punti rispetto alle politiche dello scorso anno, senza considerare le liste civiche alleate, infarcite di candidati dem a tutti gli effetti. Ma il Pd, diamine, ha perso. Per-so. E Zedda non è Berlinguer, semmai è una specie di William Wallace dei Quattro Mori: figlio di un dirigente del Pci, mai iscritto al Pd, anzi estraneo al sistema e alle logiche tafazziane del partito, ha attratto la maggior parte del voto dei Cinque Stelle. TANTO LAVORO Zedda se n' è fottuto altamente delle "dimensione nazionale", ha lavorato a testa bassa sul glocal: ha movimentato oltre 280 milioni di appalti nel primo mandato; e nel secondo, nel 2016 Cagliari è stata l' unica città a vederlo confermato senza ballottaggio. Da primo cittadino, ha riqualificato tutto il centro storico all' insegna dei trasporti ecologici e degli spazi pedonali. Cagliari ha scalato le classifiche sulla vivibilità nelle città; al punto che lo stesso Silvio Berlusconi ne ha pubblicamente riconosciuto la "rinnovata bellezza". E la sensazione, dunque, è che, ancora una volta le due Italie - quella del governo centrale e dei territori - abbiano espresso visioni diverse della politica. E poco cambia, per il Pd, rispetto al 18,8% dell' ultima fallimentare tornata elettorale. Alle primarie del 3 marzo prossimo, nonostante i sorrisi di circostanza, brillerà, come sempre, la ferocia del dissenso incrociato. Ricchetti che, in ticket con Martina, lo manda "a cagare", Emiliano che odia Calenda di odio puro, sinceramente ricambiato. Calenda che raccoglie 200mila adesioni per il suo manifesto "Siamo europei", ma non si fida di Zingaretti. Zingaretti che issa, senza avvisare nessuno, il buon Pisapia come "risorsa eccezionale" del "centrosinistra unito" per svelenire il clima da Riccardo III. Giachetti che sposta mezza Leopolda sul suo campo di battaglia riproponendo il verbo renziano, sostenendo - forse non a torto - che, in fondo, col senno di poi, sia stato l' unico ad accendere il fuocherello della rivoluzione. Il mondo è tondo. Tranne quello del Pd, che, a volte, è piatto... di Francesco Specchia

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