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Pd in crisi, ma occupa la Rai: ecco i veri dati, quanto spazio hanno i compagni

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Davide Locano
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L'informazione politica della Rai si divide in due categorie. Da una parte ci sono telegiornali, su cui tutti si accapigliano. Eppure, da quando sono cambiati i direttori, materia per litigare ce n' è poca: nei diversi notiziari i dati sulle presenze dei politici sono simili e in linea con la rappresentanza in parlamento. A gennaio, ad esempio, la fotografia scattata dall'Osservatorio di Pavia dice che premier, ministri e sottosegretari hanno avuto il 44% delle apparizioni in voce sul Tg1, il 43% sul Tg2 e il 39% sul Tg3. Gli esponenti del Pd, negli stessi tre telegiornali, si sono presi tra il 13 e il 14%, quelli di Forza Italia tra il 12 e il 15%. Considerando che nel calderone rientra pure il presidente della Repubblica, da considerare ovviamente super partes, e mettendo nel conto ciò che viene dato a grillini e leghisti non coinvolti nell' esecutivo (poca roba, specie per gli uomini di Matteo Salvini), si nota un uso attento del bilancino per essere in linea con il voto degli italiani. Del resto, se si vuole avere un' emittente finanziata dai contribuenti, altri equilibri possibili non ce ne sono. Leggi anche: Renzi e Pd umiliati dalla Lasorella Il discorso cambia completamente se si guardano i dati dei talk show. Sintonizzarsi su certe trasmissioni è come azionare la macchina del tempo: si torna in un' altra Italia, precedente al 4 marzo e simile, semmai, a quella che uscì dalle urne il 25 maggio 2014, che in politica corrisponde a un' era geologica fa, quando il Pd e le sue cheerleader potevano dire di parlare a nome del 40% del Paese. Un andazzo che il "sovranista" Francesco Storace ha denunciato ieri sul Secolo d' Italia: «Si sono mantenuti la Rai e non la mollano più. Il Pd è gonfio come una rana nelle trasmissioni che più orientano la pubblica opinione, quelle di approfondimento». Cartabianca è una di queste. Dal primo settembre al 15 febbraio, nel programma che Bianca Berlinguer manda in onda cinque giorni a settimana su Rai 3, gli esponenti del Partito democratico hanno avuto il 29,6% degli spazi. Ancora più sovraesposti di loro sono quelli di Liberi e Uguali, il partitino di Pietro Grasso che un anno fa ottenne un miserrimo 3,4%. Risultano scomparsi da ogni radar, ma non dal salottino della ex direttrice del Tg3, dove mantengono l' 8,8% delle presenze. Insieme, rossi e rossicci hanno totalizzato più minuti dei ministri del governo Conte, che non raggiungono il 38%. SOLUZIONI Criterio simile usa Lucia Annunziata nel gestire gli ospiti di Mezz' ora in più, altra perla del pluralismo come lo intendono su Rai 3. I numeri dell' Osservatorio di Pavia dicono che i membri del Pd hanno il 33,4% degli spazi, più di quelli (30,4%) concessi a ministri e sottosegretari di un esecutivo che, piaccia o meno, rappresenta ancora oltre metà degli eletti e degli elettori. Un capitolo a parte lo merita Fabio Fazio. Per rendere possibile il suo maxi-contratto milionario, Che tempo che fa è stato catalogato dal vecchio consiglio d' amministrazione come programma di «intrattenimento» anziché di «informazione», sebbene la politica resti il piatto forte e te la servano in tutte le salse, inclusa la bava versata per Emmanuel Macron. Oltre a garantirgli più soldi, l' escamotage libera l' abatino progressista dagli obblighi di rispetto del pluralismo cui sono tenute le trasmissioni d' approfondimento informativo. Il risultato è che i politici che chiama sono quasi tutti appartenenti al Pd, cui si aggiungono qualche grillino e un paio di forzisti (in ore tarde, però). Tirando le somme, a casa di Fazio il Pd risulta essere ancora il primo partito, col 24,3% delle presenze. Lega e Fratelli d' Italia, non ammessi. Gli altri invitati li pesca tutti nel bel mondo intellettuale e della presunta società civile, rigorosamente schierato a sinistra: Roberto Saviano, Tito Boeri, Gino Strada, Riccardo Gatti della ong Open Arms, Andrea Camilleri, Lilli Gruber, il sindaco di Riace Domenico Lucano Giampaolo Rossi, membro del nuovo consiglio d' amministrazione di viale Mazzini, è uno di quelli che vogliono cambiare le cose. A Libero dice che «il problema del pluralismo in Rai esiste. Se è giusto vigilare sulla corretta informazione delle testate giornalistiche, lo è ancora di più farlo nei programmi di approfondimento e d' intrattenimento delle reti. Perché mentre i giornalisti sono soggetti ad obblighi dettati dalla deontologia professionale e da vincoli normativi, i conduttori dei talk show e dei format, no». Sul tavolo c' è una possibile soluzione: «La creazione delle Direzioni di genere, che stiamo varando con il nuovo piano industriale, servirà a centralizzare il prodotto e a migliorare il pluralismo. Intrattenimento e approfondimento saranno strappati al potere insindacabile dei direttori di rete e al narcisismo di conduttori ideologicamente tarati». Non resta che attendere. di Fausto Carioti

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