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Giancarlo Giorgetti, uno sfogo drammatico: "Cos'è diventata la Lega al Nord. E Salvini non...". Allarme rosso

Giulio Bucchi
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Giancarlo Giorgetti non parla molto, ma quando lo fa è buona pratica prestare attenzione a quel che dice. Lo sapeva bene Umberto Bossi quando gli consegnò le chiavi della Lega Lombarda; lo sa bene Matteo Salvini che se l' è tenuto vicino nella sua ascesa politico-elettorale e che l' ha voluto sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a presidiare il fortino di Palazzo Chigi. Per questo se in una sera di fine marzo Giorgetti decide di dare la sveglia alla Lega davanti a un nugolo di militanti varesini e giornalisti, la cosa non va presa sotto gamba. Anche perché le sue sono parole ruvide, che arrivano dritte alla carne di un partito che al Nord raggiunge percentuali bulgare. Eccole: «Qui, dove siamo nati, dove abbiamo una storia lunga trent' anni vedo una Lega con la pancia piena. Seduta», tuona Giorgetti «dobbiamo ritrovare l' entusiasmo di quando eravamo "più magri" e "più giovani". Lo stesso che vedo nella parti d' Italia in cui invece siamo la novità. Come a Matera e in ogni piazza italiana dove la Lega è ancora giovane».  Leggi anche: "Facciamo la fine di Renzi". Salvini attento, nella Lega è l'ora del panico San Salvini non basta - La preoccupazione di Giorgetti riguarda soprattutto gli obiettivi da raggiungere, quelli storici che sembravano perduti solo qualche anno fa e che invece ora sono lì, a portata di voto. E come fare? Creando una classe dirigente, un po' come avvenuto dopo il 2004, quando la Lega si ritrovò senza leader, ma con una classe politica pronta a reggere il timone del partito. «I leader contano e uno come Salvini fa la differenza - spiega Giorgetti -. Oggi la politica è cambiata. Contano anche i follower. Però "San Salvini" e i like non bastano. Per vincere e ottenere ciò che abbiamo sempre voluto, ovvero l' autonomia, serve anche le gente. Serve la spinta popolare». Per questo, già dalle prossime amministrative «metteremo in campo candidati che devono essere credibili e saper dare risposte alla gente». Finito di parlare di Lega, Giorgetti si dilunga anche sulla politica nazionale. E anche qui son fendenti, soprattutto agli ex alleati, ma non solo. «Il centrodestra è morto perché certe categorie politiche in Italia e nel mondo sono cambiate. Oggi il populismo, che prende voti a destra e a sinistra, ha ribaltato i tradizionali schieramenti». E poco importa se lo schema tradizionale regge a livello locale «dove c' è un affiatamento molto amministrativo e poco politici», ma non più a Roma. Alleati scomodi - Come detto Giorgetti non fa sconti nemmeno agli attuali alleati, quei Cinquestelle alle prese con una crisi di consensi che rischiano di pagare caro alle prossime elezioni. Il leghista prima usa la carota: «Chi crede che dopo le Europee cadrà tutto si sbaglia. Il successo di questo governo dipende solo dalla sua capacità di dare risposte ai problemi del Paese». Poi dosa con sapienza il bastone, quando dice: «È chiaro poi che se la Lega fa il pieno di voti significa che le proposte che facciamo all' interno del governo avranno certamente più forza...» e fa l' esempio dello sblocca cantieri che «non è quello che volevamo noi. Soltanto sei mesi fa però era impensabile che potesse essere approvato. Quindi vuol dire che si va avanti. Non alla velocità che sarebbe utile, però si va avanti». E ancora: «La stella polare resta il contratto di governo sottoscritto da Salvini e Di Maio. E quello che c' è scritto deve essere fatto. Il resto invece, ovvero ciò che non è contemplato nell' accordo, può essere discusso. E perfino rifiutato». di Fabio Rubini

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