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De Micheli, la vera segretaria del Pd

Maria Pezzi
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 In un partito normale Nicola farebbe le fotocopie per Paola e le porterebbe il caffè in ufficio con il taccuino nell' altra mano e la matita dietro l' orecchio, pronto a ricevere disposizioni sulla giornata politica. Ma il Pd, si sa, non è un partito normale e accade così che i ruoli siano invertiti: alla corte del segretario Zingaretti c' è una capa naturale che svetta per meriti propri e per il vuoto intorno a lei: De Micheli Paola, piacentina, scienziata della politica ulivista, fresca vice segretaria del Pd, «cattolica scollata che nessuno si è mai cagata» - parole sue, perché è pure autoironica - e che ha attraversato in scioltezza tutte le stagioni e i toni di rosso di cui si sono ammantate le principali leadership democratiche. Gli antipatizzanti l' accusano di essere stata bersaniana con Pier Luigi Bersani, lettiana con Gianni Letta, renziana con Matteo Renzi e adesso zingarettiana nell' attesa del prossimo giro. Nessuno si è mai domandato se invece non siano piuttosto stati demicheliani, perfino obtorto collo, i maschietti segretari che l' hanno via via ingaggiata e valorizzata lungo il cammino. Per la verità lei è sempre stata se stessa: emiliana catto-sinistra e secchiona per necessità: orfana di padre a 19 anni, con due fratelli minori cresciuti insieme a sua madre Anna allora quarantaquattrenne, si laurea in Scienze politiche alla Cattolica di Milano dopo aver fatto studiare i più piccoli, inizia a lavorare nel settore agroalimentare, aderisce alla causa prodiana che la porterà in breve tempo nel dipartimento Economia del Pd accanto a Stefano Fassina durante la segreteria del conterraneo Pier Luigi Bersani (2012). Dopo il disastro alle politiche del 2013, l' ingaggio al fianco del premier grancoalizionista Enrico Letta non è che la prosecuzione della battaglia ulivista con mezzi aggiornati. Nel congresso post elettorale De Micheli sostiene Gianni Cuperlo contro Matteo Renzi e, quando un anno dopo il bullo di Rignano si prende anche Palazzo Chigi, per lei si pone un problema di spoils system nei gruppi parlamentari: che fare della vicaria del capogruppo bersaniano alla Camera Roberto Speranza? Rimossa e promossa sottosegretario al ministero dell' Economia, dove sostituisce Giovanni Legnini in rampa di lancio per la vicepresidenza del Csm. «cattolica scollata» Dal Mef, nient' affatto renziana, De Micheli tesse la sua tela, fa valere il rigore femminile del suo segno zodiacale (Vergine) e diventa una risorsa neutrale di un partito in perpetua ebollizione. Matteo prende a stimarla e lei lo ricambia dopo il funesto referendum costituzionale del 2016, sostenendolo nel successivo congresso con l' obiettivo di salvare il Pd dall' implosione definitiva. Se De Micheli ha avuto una sbandata renziana, insomma, questo è avvenuto quando l' ormai ex segretario aveva imboccato la via del (momentaneo) tramonto. Regnante Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, nel settembre 2017 Paola viene nominata commissario straordinario alla ricostruzione delle aree centro-italiane colpite dal terremoto dell' anno precedente. Un diadema istituzionale che non stona sulla sua testa materna (è la moglie risolta di un agente di commercio nonché madre d' un cucciolo di tre anni e mezzo). Per approfondire leggi anche: Matteo Renzi, cannonate al Pd renzine scansatevi Il resto è storia dell' altroieri. La batosta nelle urne del marzo 2018, la nascita del governo nazionalpopulista, le ferite sanguinanti del Pd affidate all' infermiere Zingaretti che sceglie De Micheli come vice e si avvale delle sue indiscutibili doti comunicative. Perché in tivù Paola funziona bene: regge alla grande il conflitto, sa articolare il messaggio economico con una certa autorevolezza, aggredisce l' avversario di turno con capacità seduttive molto feline e un po' felliniane, ma senza quel maliardo o imbarazzato "flap flap" nelle palpebre che ha reso celebri alcune esibizioni di Maria Elena Boschi, alla quale De Micheli viene talvolta accostata. A voler essere benevoli con lui, si potrebbe dire che Paola e il fratello di Montalbano si completano a vicenda. Zingaretti è un fenomeno della retroguardia: tanto moscio in tivù e sui social quanto esperto nella gestione del potere di quella grigia struttura fondamentale sulla quale poggia la sopravvivenza di un partito ciclotimico com' è il Pd. De Micheli è invece la cuspide dell' avanguardia, un' ardita del popolo che spunta sulla lavagna i bersagli raggiunti e ricarica subito il moschetto. Dire che la zingarella in chief vale da sola un battaglione di amazzoni renziane è forse eccessivo, ma siamo lì. di Alessandro Giuli

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