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Giuseppe Conte, il "no" a Matteo Salvini che ha convinto il leghista ad aprire la crisi di governo

Davide Locano
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Crisi di governo aperta. Lo ha confermato al termine dell'ennesima giornata convulsa Matteo Salvini: "La maggioranza non c'è più, il Parlamento ne prenda atto". Atteso, dunque, il voto in aula che sancirà la fine del governo gialloverde. Poi, voto anticipato a ottobre o una nuova maggioranza (ipotesi difficilissima da percorrere, anche se Sergio Mattarella un tentativo di rito lo farà). Come si sia arrivati a quest'epilogo, è chiaro a tutti: dalle Europee in poi un'escalation infinita. L'ultimo atto, il punto pivotale, il voto kamikaze del M5s sulle mozioni contro la Tav. Il governo che votava contro se stesso. Quello lo snodo decisivo. Ma è interessante anche entrare nei meandri di questa crisi, comprendere come sia maturata la decisione di Salvini di farsene carico. Stando a rumors e indiscrezioni, il momento decisivo si è consumato mercoledì 7 agosto, dopo il voto sulla Tav. Come è noto, nel pomeriggio di ieri si è tenuto un vertice con Giuseppe Conte e Salvini. Il rimpasto non è mai stato sul tavolo. La linea del ministro dell'Interno sarebbe stata più radicale: avrebbe chiesto al premier le dimissioni, ovvie, scontate, poiché l'aula del parlamento aveva dimostrato che la maggioranza, semplicemente, non esisteva più. Leggi anche: Faccia a faccia con Salvini, lo sfogo di Conte In un mondo politico normale, Conte avrebbe accettato: passo indietro, magari anche una vaga possibilità di un nuovo governo gialloverde per concludere giusto il taglio dei parlamentari e, altrettanto magari, gestire la manovra. Ma in un mondo politico dove ci sono i grillini - e Conte, bene ricordarlo, da lì arriva - le dimissioni non sono state presentate. Il premier avrebbe intimato a Salvini di andare a sfiduciarlo in aula. Una richiesta, quella di Conte, che è semplice intuire essere di matrice grillina: Luigi Di Maio e compagni volevano che la Lega si facesse carico della crisi. Certo, non era l'epilogo che voleva Salvini. Ma di fronte a un simile "spettacolo", il ministro dell'Interno ha esitato giusto qualche ora. Il tempo di un altro colloquio con Conte e poi con Sergio Mattarella. Dunque, l'annuncio: si va in aula a sfiduciare Conte. Salvini si fa carico della crisi insomma, i grillini passano subito all'attacco accusandolo di voler sabotare il taglio dei parlamentari. Probabilmente, considerano questo epilogo una vittoria. Ennesima vittoria di Pirro, per il M5s, destinato a restare fuori dai giochi, forse per sempre. Vittoria di Pirro anche perché l'opinione pubblica, sondaggi alla mano, chiedeva a gran voce di staccare la spina. E Salvini semplicemente, e inevitabilmente, lo ha fatto. Insomma, la manovra di Conte e M5s potrebbe anche rivelarsi un boomerang: la scelta di Salvini è estremamente popolare, i tentativi di attaccarlo sul taglio dei parlamentari appaiono a tutti pretestuosi. Un'arma spuntata. Grillini sconfitti ancora. Per l'ultima - e più dolorosa - volta.

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