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Matteo Orfini, il retroscena: l'orfano di Matteo Renzi che resta nel Pd per rompere

Davide Locano
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Quando c' è l' occasione di criticare il Partito democratico, lui non si tira mai indietro. Anzi, sembra proprio provarci gusto. Perché lui, Matteo Orfini, deputato dem al secondo mandato, assomiglia un po' a quei tifosi di calcio che si divertono a parlare male della loro squadra. Non che sperino in una sconfitta, questo no, ma perché lasciarsi scappare l' opportunità di dire che l' allenatore ha sbagliato i cambi e che il centravanti è fuori forma? Orfini, 45 anni, ha fatto la perfetta carriera dell' uomo post-comunista. Diplomato al prestigioso liceo Mamiani di Roma, studente di Archeologia (che se sei di sinistra in qualche modo serve), ammiratore di Togliatti, cresciuto con D' Alema, entrato in Parlamento con Bersani, presidente del Pd all' epoca di Renzi, recentemente è salito pure sulla barca di Carola Rackete per portare la sua solidarietà. Non è salito, invece, sul carro renziano di Italia viva. Anzi, al momento della scissione si era addirittura esibito in una citazione in latino per far sapere che non era d' accordo: «Extra ecclesiam nulla salus». Tradotto: fuori dalla Chiesa (cioè fuori dai dem) non v' è salvezza. E però restando all' interno del partito si rischia di annoiarsi, soprattutto ora che non c' è più il Rottamatore col quale Orfini almeno giocava ai videogiochi e a calcio balilla. Leggi anche: Giuliano Urbani stronca Matteo Renzi: "Di cosa non si rende conto" Così il deputato democratico ha deciso di provare a vivacizzare un po' le giornate del Nazareno ritagliandosi il ruolo del Bastian contrario, quello sempre un po' più a sinistra degli altri. Vediamo, ad esempio, quello che è successo nelle ultime settimane COALIZIONE Il 29 settembre Orfini è entrato a gamba tesa sull' alleanza tra Pd e Cinque Stelle in vista delle elezioni regionali in Umbria. A non andargli giù, in particolare, l' idea di far pagare 30mila euro agli eletti in caso di cambio di casacca. «Non avevo capito», ha tuonato, «che la scelta di costruire un' alleanza Pd-M5S in Umbria, scelta peraltro mai discussa, prevedesse l' obbligo di emulare le parti peggiori del grillismo. L' idea del vincolo di mandato con tanto di multa è qualcosa al di fuori della cultura politica democratica e spiace davvero che qualcuno non se ne renda conto. Spero che Zingaretti intervenga al più presto per correggere questa sciocchezza». Poi, il 2 ottobre, si è concentrato su uno dei suoi argomenti preferiti: la riduzione dei parlamentari e la conseguente riforma elettorale: «Chiederci di stravolgere la Costituzione votando il taglio dei parlamentari senza far chiarezza sul modello elettorale non sarebbe serio. E sostenere che non possiamo scegliere una linea chiara significa non averne una. Un grande partito non se lo può permettere. Penso che il Pd abbia il dovere di sciogliere questo nodo prima del voto del 7 ottobre». Ovviamente non è stato ascoltato, così, dopo che la Camera ha approvato la riforma, si è sfogato su Facebook: «Oggi abbiamo tagliato il numero dei parlamentari, approvando una riforma alla quale avevamo votato contro per tre volte. Sarò sincero, farlo mi è costato moltissimo e penso che sia stato un passaggio gestito malissimo. Mi dispiace dirlo qui, avevo chiesto insieme a tanti altri di fare su questo una direzione del Pd ma Gentiloni e Zingaretti hanno scelto di non convocarla. Evidentemente la sbandierata volontà di collegialità e unità in alcuni passaggi viene dimenticata. Amen». E ancora: «Penso che questa sia una riforma nata male e figlia di una visione antipolitica che il Pd dovrebbe contrastare. Negli ultimi 20 anni non abbiamo quasi mai avuto il coraggio di farlo. E l' effetto è sotto gli occhi di tutti: il discredito e la debolezza delle istituzioni nasce anche da questa nostra mancanza di coraggio». Insomma, i dem sarebbero un partito poco serio, poco collegiale, poco coraggioso e senza una linea. Mica male. Il 6 ottobre l' ex presidente del Pd se l' è presa col modo in cui il partito ha affrontato la nascita di Italia viva. «Prima della scissione», ha spiegato, «nel Pd si litigava su Renzi. Dopo la scissione si litiga con Renzi. Non mi pare una strategia geniale». Ma la vera "bomba", Orfini l' ha sganciata il 7 ottobre a proposito dei migranti. Eccola qui: «Altri 30 tra morti e dispersi al largo di Lampedusa. La colpa non è del buonismo, come dice Salvini, ma di chi ha scritto decreti che impediscono alle navi di salvare vite. E di chi ha paura di abrogarli. Quindi anche nostra, del nostro governo e del mio partito». Insomma, i morti in mare sarebbero colpa sia della Lega che del Pd. Boom. CONGRESSO Può bastare? Assolutamente no. Il 9 ottobre il gruppo Pd della Camera ha votato per il candidato a segretario d' aula. Il presidente Graziano Delrio ha proposto Andrea De Maria, vicino a Maurizio Martina. Ma un po' a sorpresa è stata avanzata anche un' altra candidatura, quella di Giuditta Pini, proprio dell' area di Orfini. La votazione è finita 46 a 26 per De Maria. «È andata anche bene visto che abbiamo avuto mezz' ora per fare campagna elettorale», ha commentato la Pini, «la nostra non era una candidatura contro De Maria ma per rompere anche un certo schema che ormai si sta affermando per cui vengono proposti sempre uomini quarantenni, sta diventando un cliché». Certo, anche Orfini è un uomo quarantenne, ma in effetti dimostra qualche anno in più, quindi non conta... Andiamo avanti. Il 10 ottobre, in riferimento al possibile superamento degli equilibri congressuali, si è parlato di un ingresso in maggioranza della corrente di Orfini. Lui, però, ha declinato: «No, a noi non interessa». «Siamo leali con chi ha vinto il congresso», ha spiegato, «ma noi non abbiamo votato per il segretario e restiamo in minoranza. Detto questo, è evidente che, dopo le regionali, non potremmo non andare ad un momento congressuale: c' è stata una scissione, un cambio radicale della strategia politica». Concetto, questo, ripetuto in maniera decisa anche il 16 ottobre: «I due principali leader del Pd, Zingaretti e Franceschini, hanno ribadito che la prospettiva strategica del nostro partito è un accordo coi Cinque Stelle. La dico semplice: a me pare una linea sbagliatissima. Una linea sbagliata e subalterna. Che peraltro avrebbe bisogno di un congresso vero per essere legittimata, dato che nulla di quanto stiamo facendo fu discusso alle passate primarie. Nel mio piccolo cercherò di far cambiare idea a chi ci sta portando verso un burrone». Insomma, Zingaretti è avvisato: anche nei prossimi mesi avrà il suo grillo parlante pronto ad attaccarlo quotidianamente. Come se il segretario del Pd non avesse già abbastanza guai... di Alberto Busacca

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