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Luigi Di Maio presto abbandonato: in venti pronti a passare con la Lega di Matteo Salvini

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Caterina Spinelli
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Il conto che gira in Transatlantico è di venti. Venti deputati del M5S sarebbero pronti a fare un gruppo autonomo per sostenere un governo di centrodestra, nel caso in cui il 26 gennaio cadesse l' ultima roccaforte rossa, l' Emilia Romagna. Perché tutti danno per scontato che, se cadesse l' ultima regione rossa, come in una partita di bowling cadrebbero tutti gli altri birilli. Cioè il governo Conte. Di questo, ormai, si parla ossessivamente nel corridoio davanti all' Aula: cosa accadrà dopo il 26 gennaio. Se cade l' Emilia, è la tesi trasversalmente diffusa, addio Conte 2. Ma le elezioni, no. Anche se in molti le invocano, in pochi credono che ci saranno. «Ormai ci siamo abituati ai tre governi per legislatura», rifletteva un disincantato deputato dem: «Prodi, D' Alema, Amato; Letta, Renzi, Gentiloni». Secondo questa tesi, al Conte 2 potrebbe succedere un governo Franceschini (o chi per lui). Ma è un disegno che, seppure accarezzato da tanti, presenta molte difficoltà. Potrebbe, il presidente Sergio Mattarella, dare il via a un altro governo degli sconfitti, ancora più sconfitti di quelli che a settembre hanno tenuto a battesimo il Conte 2? Complicato. Da qui, l' altra possibilità: un governo di centrodestra, che dia la chance di govrnare a chi sta vincendo una dopo l' altra le elezioni nel Paese. E in questo modo sarebbe salva anche la riforma che taglia i numeri dei parlamentari, che salterebbe in caso di voto anticipato. Ma, per farlo, i numeri attuali di Lega, Fdi e Forza Italia non bastano. Soprattutto alla Camera. Servirebbero, dunque, dei passaggi di parlamentari dall' attuale schieramento a quello del centrodestra. Ipotesi di cui, nelle commissioni, si parla apertamente. «Nella mia, i grillini mi hanno già detto che sarebbero pronti a passare con la Lega, se il Conte 2 cadesse», confida un deputato azzurro. E non è una eccezione. Il clima che si respira, soprattutto tra i pentastellati alla prima legislatura, è di disillusa stanchezza. «Ma hai visto Fioramonti?», si sfogava un deputato grillino con altri colleghi, ieri, nel cortile di Montecitorio. «Dice che non sapeva nulla delle norme inserite nella legge di bilancio. Così facciamo oltretutto la figura dei peracottari...». Ci si è messa la vicenda Ilva, lo stop and go sulla plastic tax, i continui litigi con il Pd, il ruolo straripante di Matteo Renzi («Sta facendo quello che prima faceva Salvini», si dice nel M5S, «e noi rimaniamo schiacciati come al solito»). Un piano inclinato che molti osservano con preoccupazione. E soppesando le varie exit strategy. Ma siccome salvare la legislatura è un imperativo, primum vivere, aumentano i peones pentastellati che ammiccano, riservatamente, ai colleghi della Lega. Soldati in sonno, ma pronti a emergere quando sarà necessario. Dentro Forza Italia già si parla addirittura di distribuzione dei ministeri. Del resto è un momento particolarmente volatile in tutti i gruppi. Renzi continua in modo massiccio a tentare peones e non solo: l' altro giorno Pier Camillo Padoan ha detto di sentirsi «più in sintonia» su certi temi con il partito dell' ex premier. E da qualche tempo anche il Pd ha cominciato a rispondere per le rime. Ieri Renata Polverini è stata avvicinata da pezzi grossi del Pd, così come Deborah Bergamini. «Dobbiamo reagire all' attivismo di Renzi, qualche passaggio non sarebbe male», si ragiona tra i dem. La campagna acquisti, insomma, ferve. Da una parte e dall' altra. Poi, come nel Risiko, chi avrà più carrarmati, al momento giusto vincerà. di Elisa Calessi

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