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Liliana Segre, lezione agli antifascisti della domenica: "Cosa penso di Matteo Salvini"

Davide Locano
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Gli schiaffoni fanno più male quando arrivano da una persona che credevi di poter utilizzare a tuo favore. E che invece, qualora ce ne fosse stato bisogno, si dimostra libera da pregiudizi, e capace di parlare non per partito preso o a nome di un partito. Faranno perciò molto male alla sinistra le parole pronunciate ieri da Liliana Segre in un' intervista al Corriere della Sera in cui la senatrice prende le distanze da chiunque provi a strumentalizzarla per demonizzare l' avversario politico Salvini o per imporre l' egemonia del pensiero unico. Leggi anche: David Parenzo, il delirio su Ezio Greggo: Bizzarri lo smonta Quanta sorpresa avranno avuto i compagni ad esempio nello scoprire che la Segre, prendendo in contropiede gli anti-sovranisti di professione, esprime la propria vicinanza al leader della Lega e Giorgia Meloni, anche loro bersagliati da attacchi sui social. «Colgo l' occasione per esprimere loro solidarietà», avverte la senatrice. «Sarò un' illusa, ma continuo ad auspicare che tutti si uniscano in un impegno bipartisan per prevenire le epidemie dell' odio. Io ho sperimentato i danni che possono produrre». Come dire, chi ha provato sulla propria pelle gli orrori della discriminazione nell' inferno di Auschwitz non può condannare solo l' odio verso gli ebrei, ma sente il dovere morale di rifiutare qualsiasi forma di intolleranza, anche quella contro leader politici di destra. È qua la grande lezione della Segre ai soloni della sinistra, secondo cui gli insulti alla senatrice non possono essere paragonati alle minacce di morte al leader della Lega. E, a tal proposito, la sopravvissuta all' Olocausto dà una stilettata anche a quei giornali (leggi Repubblica) che avevano parlato di "200 insulti al giorno" a lei rivolti: quel numero, rileva lei, è «scaturito da un' inesattezza giornalistica». Non paga, la Segre normalizza anche l' avversario politico che la sinistra tende a "mostrificare" o "fascistizzare", lo riconduce a collega e concittadino, quindi a suo pari. Parlando dell' incontro riservato, avvenuto tra lei e Salvini, avverte infatti: «Incontrarsi e parlarsi, a maggior ragione tra due colleghi senatori e concittadini milanesi, più che un gesto di civiltà dovrebbe essere considerato un fatto normale». Che bello sentirlo dire da lei, senatrice. NIENTE COLLE Ma soprattutto la Segre dimostra di essere un gigante rispetto ai nani politici che tentano di fare di lei il simbolo di battaglie politiche che non le appartengono. È una sberla sonora quella che dà la senatrice a vita ai cortigiani di turno quando spiega le ragioni che l' hanno portata a rifiutare la candidatura a presidente della Repubblica: «Mi sono trovata, mio malgrado», dice, «ad essere già una figura sulla quale si concentrano fin troppi significati simbolici. Non è il caso di aggiungerne altri e di coinvolgermi in ambiti impropri». Come se non bastasse, arriva un altro gancio quando dichiara che sì, il conferimento delle cittadinanze onorarie nei Comuni di mezza Italia le fa piacere, ma ora inizia un po' a stancarsi «perché anche questo sta diventando un nuovo terreno di battaglia di cui farei a meno», e aggiunge che «mi dispiace aver creato imbarazzo a quelle giunte», come Biella e Sesto San Giovanni, che hanno scelto di non conferirle il riconoscimento. LUSINGHE UNTUOSE La Segre è troppo intelligente per non capire che l' obbligo morale per i Comuni italiani di conferire a qualcuno la cittadinanza onoraria, con la riprovazione pubblica per chi fa altre scelte, smette di essere un esercizio di democrazia e diventa un fatto degno di regimi autoritari. Non è un caso che durante il fascismo fossero i prefetti stessi a caldeggiare ai Comuni il conferimento della cittadinanza onoraria a Mussolini In sintesi la senatrice, da persona di grande libertà e onestà intellettuale qual è, non presta il fianco né agli attacchi che le arrivano e da cui giustamente si difende, né alle lusinghe untuose di chi prova a farne un' icona di parte, se non "partigiana". Ah, fossero tutti come lei, senatrice. di Gianluca Veneziani

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