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Giuseppe Conte, un premier a due facce: quante volte che si è smentito nell'ultimo anno e mezzo

Gabriele Galluccio
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In principio era Giuseppe, poi Giuseppe si è fatto Giuseppi. Per spiegare la doppiezza del presidente del Consiglio si potrebbero evocare categorie letterarie, lo strano caso del dr. Giuseppe e di mr. Conte oppure il Bis-conte raddoppiato, parafrasi a rovescio del Visconte dimezzato di Calvino; si potrebbe parlare di camaleontismo politico e cromatico, ossia della sua capacità di adattarsi a contesti e colori cambiati, dal gialloverde al giallorosso; o ipotizzare un tentativo mal riuscito di sintesi logico-matematica, di mettere insieme l'Uno e il Due e di sfidare il principio di non contraddizione; o ancora si potrebbe stendere il personaggio in questione su un lettino e fare una diagnosi di sdoppiamento dell'io e schizofrenia politica. Per approfondire leggi anche: "Non pensavo che le accettasse" Tutti questi sforzi non riuscirebbero tuttavia a rendere ragione del fatto che Conte non è una sola persona, ma sono due individui distinti: Con-Te appunto, perché c'è qualcuno con lui, oppure Giuseppi, come in modo lungimirante, e non con una gaffe, lo aveva definito Trump. Il vero dramma è che il personaggio, o meglio i "personaggi" in questione, non si accorgono del loro essere Uno, Due, Nessuno e Centomila. Nell'ultima intervista rilasciata al Foglio il premier ha avuto l'ardire di ribadire la sua «piena coerenza di azione» e di convinzioni. Peccato che la realtà, ossia le sue stesse dichiarazioni, lo smentiscano. Si potrebbe prendere un dossier a caso per capire come Con-te, su ogni tema, pensi una cosa e il suo esatto contrario. E spesso, non ricordandosi quale fosse la posizione presa in precedenza, preferisca stare nel mezzo, fare esercizi di equilibrismo, non sbilanciarsi né da un lato né dall'altro, dando un colpo al cerchio e l'altro alla botte, anche a costo di darsi la zappa sui piedi. GIRAVOLTA LIBICA Si veda la sua linea sulla Libia, in merito a cui è riuscito a dire che sta con al-Serraj, con Haftar, con entrambi e con nessuno dei due. Un capolavoro di diplomazia. Nel settembre del 2019, incontrando al-Serraj a Roma, Conte elogiava il governo di quello e ne accoglieva con favore le iniziative. Parlando alcuni giorni fa col Foglio, tuttavia, Conte ricordava sì di aver «appoggiato il governo presieduto da al-Serraj», ma allo stesso tempo di tenere particolarmente a un «dialogo con Haftar». Tanto che poco dopo, grazie a un pasticcio epocale, incontrava Haftar e non al-Serraj, che evidentemente si era accorto di essere appoggiato ma non troppo. Stessa posizione terzista sul Venezuela a riguardo del quale Conte dice che «non abbiamo riconosciuto Guaidó come presidente, ma non abbiamo mai detto che appoggiavamo Maduro». Più che con Guaidó, Conte sta nel Guado, tra color che son sospesi. Inutile chiedersi da che parte stia Conte tra Usa e Iran, perché forse non lo sa neppure lui. Almeno sull'Europa però ce l'avrà una posizione coerente e chiara? Sì, come no. Conte 1 è quello che nell'agosto del 2018 sbraitava contro l'Ue accusandola di «ipocrisia» e minacciava: «L'Italia ne trarrà le conseguenze»; e ancora nel febbraio 2019 rincarava la dose sostenendo che «l'Europa ha perso il contatto con il suo popolo». Bastava tuttavia un cambio di casacca, di colore giallorosso, per cambiare idea: e così, tra un appoggio a Ursula von der Leyen e una trattativa sul Mes, nell'ottobre del 2019 Conte 2 arrivava a dire che «il nostro governo vede l'Europa come pilastro». Di conseguenza, si rovesciava il suo atteggiamento sull'immigrazione: se nel discorso di insediamento del giugno 2018 Conte 1 tuonava «Metteremo fine al business dell'immigrazione» e «combatteremo il traffico di esseri umani», nel discorso di fine 2019 Conte 2 annunciava la sua volontà di modificare i decreti sicurezza, unico argine contro il traffico di clandestini. E sui rapporti con la Russia? Il Conte 1, in versione filo-Cremlino, annunciava che «ci faremo promotori di una revisione del sistema delle sanzioni», il Conte 2, allontanatosi dalla Russia con tremore, tiene a far sapere: «Non sostengo la rimozione delle sanzioni tout court». IL BALLETTO SU TARANTO In materia di economia si sperava tuttavia che Conte non diventasse Conti e non cambiasse idea sui conti. E invece, se gli parli oggi di flat tax e di quota 100, fa lo gnorri, finge di non capire, dice che non è roba sua. Eppure un tempo gli piacevano e se ne vantava. Gli facciamo un promemoria: era il giugno 2018 quando lui poneva come «obiettivo la flat tax»; il settembre 2019 lo Smemorato di Volturara Appula ribaltava però il tavolo e diceva di puntare a una «rimodulazione delle aliquote fiscali in linea con la progressività della tassazione» (se le tasse sono progressive, tanti saluti alla tassa piatta). E su quota 100? Qui la variazione è stata ancora più repentina: nell'ottobre 2019 Giuseppi diceva che «quota 100 è un pilastro della manovra», mentre ora afferma che «si può aprire una discussione su quota 100» in quanto «è nata come misura transitoria». Da pilastro a provvedimento passeggero. Sic transit gloria quotae centi. Il balletto più imbarazzante riguarda l'Ilva, e in particolare la questione dello scudo penale. Leggete qua. Il 5 novembre 2019 Conte 1 annuncia: «Saremo inflessibili, lo scudo penale non è nel contratto». Il 21 novembre, appena 16 giorni dopo, Conte 2 ci ripensa: «Potremmo considerare lo scudo penale». Ed ecco che qualche giorno fa Conte 3 proclama il contro-contrordine: «Il tema dello scudo penale non è stato affrontato. È un tema che è stato subito accantonato». Ci vorrebbe uno scudo, sì. Ma per proteggere i premier Giuseppi dal ridicolo. di Gianluca Veneziani

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