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Teresa Bellanova è il panzer di Italia Viva: Matteo Renzi la manda avanti nelle risse giallorosse

Gabriele Galluccio
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Teresa Bellanova non è affatto buona ed è appunto per questo che Matteo Renzi ha deciso di metterla alla guida della delegazione governativa del suo nuovo partito, Italia Viva. È lei che partecipa agli estenuanti tavoli negoziali della tragicomica maggioranza giallorossa; è lei a impugnare la clava quando Luigi Di Maio e i suoi accoliti mettono in discussione i capisaldi del welfare renziano, a cominciare dalla difesa del Jobs act («vogliono tornare al Novecento!»); ed è sempre lei a tenere sotto pressione l'esecutivo sui provvedimenti bandiera del Conte 1.0: la quota cento e il reddito di cittadinanza varati nella spericolata stagione gialloverde. Per approfondire leggi anche: Bellanova, come bacchetta Pd e M5s Di suo Bellanova sarebbe ministro dell'Agricoltura, nota com'è per le sue storiche battaglie contro il caporalato e soprattutto per via delle sue origini da bracciante (ha iniziato a quattordici anni). Il physique du rôle non le fa difetto: rocciosa, energica e ben piazzata come gli ulivi della sua ferace terra salentina; sempre accompagnata dal sorriso soddisfatto di chi sembra avere appena schiaffeggiato un rivale incontrato lungo la via. In Bellanova, nel suo eloquio assertivo e nelle sue movenze spicce, percepisci subito i limiti e le virtù millenarie dello strapaese (Ceglie Messapica, fra le colline carsiche del brindisino) che nella terra del rimorso si è fatta gilda sindacale e Quarto Stato in marcia verso l'ascensore sociale. COMUNISTA SOTT'OLIO E lei è appunto questo: comunista all'olio d'oliva, tessera Cgil agroindustriale, poi operaia tessile, un ingresso in politica nei primi anni Duemila dalla via maestra della sinistra pugliese: la corrente diessina di Massimo D'Alema. Scarpe nuove e cervello fino. Di lì in poi il romanzo di formazione della nostra Teresa, deputata dal 2005 a oggi, prende una direzione sempre più istituzionale fino a incontrarsi, anzi a scontrarsi dapprima con il suo futuro leader di riferimento: Renzi. Anno 2012, il bullo di Rignano comincia la sua personale battaglia contro l'apparato della Ditta e lei lo osteggia, mettendosi a guardia dell'ortodossia laburista con la faccia cattiva e il pugno chiuso. Ma durerà poco, giusto il tempo che Pier Luigi Bersani completi il proprio suicidio politico (elezioni 2013) e la Bellanova, devota allo spirito del tempo, cede al corteggiamento renziano con uno spettacolare testacoda: meglio avere le idee giuste nel modo sbagliato - deve aver pensato - che restare coerentemente dalla parte del torto. NUOVA MUSA Ed eccola dunque, nel 2014, sottosegretaria al Lavoro e poi viceministro allo Sviluppo economico nel governo gigliato con il temerario compito di gestire il percorso parlamentare della riforma che porterà alla riscrittura dello Statuto dei lavoratori, all'abolizione dell'articolo 18, al culto delle tutele crescenti in assenza del posto fisso. Ed è così che la ragazza che si fece da sola diventa l'inamovibile biglietto da visita della Leopolda, novella Musa del «merito come qualità di sinistra». I nemici le danno subito della rinnegata convertita al verbo bocconiano ma lei, la contadina che ce l'ha fatta, terza media e via a lavorare, scrolla le spalle tornite continuando a solcare il Transatlantico con il piglio del latifondista inveterato. Un po' come l'antico arbitro Lo Bello faceva sui campi di gioco nelle sontuose descrizioni lasciateci da Gianni Brera. Ci sarà una ragione, pertanto, se la Bellanova è anche la donna-immagine del renzismo crepuscolare che si affaccia in televisione con l'improntitudine di sempre. Sa di cosa parla quando deve esternare, regge il conflitto con tenacia matronale, aggredisce i temi del dibattito pubblico con l'esperienza della veterana. E sa imporsi non senza una dose di studiata civetteria, riconoscibile ad esempio nei vestiti prescelti per il giuramento del governo ribaltonista, con tutte quelle balze blu che hanno offerto il destro alle solite truculente contumelie social alle quali la nostra Teresa ha replicato con indifferenza ("#vestocomevoglio") o con altre provocatorie mise a pois, indossate con la voluttà di un'orgogliosa scazzottata cromatica. Soltanto lei, insomma, per spessore e carattere, poteva reggere il confronto con Madonna Boschi dalle braccia candide, la dea del renzismo al suo zenit. Ma se Maria Elena irradiava un'inaccessibilità vertiginosa e letale, da Teresa promana un effluvio di bonomia dispotica che l'avvicina ai mortali, e rende dunque più pericoloso contrariarla. LA CORAZZATA Della sua presenza nell'attuale compagine giallorossa ancora non si colgono tracce destinate a futura e indelebile memoria (il grattacapo dei dazi americani sui prodotti agricoli è ancora lontano da una soluzione e la ministra dovrà presto riferirne in Parlamento). Ma in fondo il suo ruolo non è quello di andare in avanscoperta per tracciare sentieri rivoluzionari: Bellanova è la divisione corazzata che intimidisce i pulcini a Cinque stelle e protegge le retrovie d'Italia Viva dalle cattive coscienze ritorsive dei democratici di Nicola Zingaretti. Tanto basta. E avanza pure. di Alessandro Giuli

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