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Giuseppe Conte, Pietro Senaldi: "Telefonate lamentose al Quirinale, come si salva il governo"

Davide Locano
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Alla fine Conte è riuscito a trovare la maschera d' ossigeno alla quale attaccarsi. Sia il premier sia Renzi hanno rinfoderato le rivoltelle per dedicarsi agli affari propri intanto che il governo galleggia e l' Italia sprofonda. Il presidente del Consiglio, il cui obiettivo ora è diventato arrivare a mangiare l' uovo di Pasqua, annuncia un piano per rilanciare il Sud entro il 2030. Piano ambizioso per uno che non sa se ci sarà tra sei mesi e non è ancora riuscito a fare la verifica per avviare la fase 2 che, a Natale, aveva annunciato dopo la Befana. Il fondatore di Italia Viva invece, dopo aver lanciato i suoi ministri e parlamentari contro l' esecutivo, ha rivelato che voterà la fiducia. Prima però andrà all' estero per una di quelle conferenze che hanno fatto schizzare il suo reddito a 800mila euro l' anno. Tornerà mercoledì prossimo. Lo attende il salotto di Vespa da dove piazzerà nuove bombette sotto la poltrona del professor Giuseppe. Leggi anche: Gregoretti, Pietro Senaldi accusa sinistra e magistratura CRISI, ANZI NO Siamo al teatro dell' assurdo. Tutti i protagonisti ammettono che il governo è fermo e c' è aria di crisi, ma sono tutti altrettanto certi che non si andrà alle urne e che comunque prima di fine marzo, quando si voterà il referendum contro la riduzione del numero dei parlamentari, non succederà nulla. In questa situazione, i vituperati governanti della prima Repubblica avrebbero da tempo avuto quel sussulto di dignità che li avrebbe portati al Quirinale a rassegnare le dimissioni. Oggi, che in Parlamento siedono centinaia di moralizzatori anti-Casta, nessuno è pronto a prendere atto del proprio fallimento. Conte è sopravvissuto a un bombardamento ma fa il gradasso: «Senza arroganza posso dire di non temere la crisi di governo» afferma. Poi polemizza con Renzi: «Italia Viva ha pari dignità rispetto agli altri partiti della coalizione malgrado abbia solo il 3%» pontifica, come se lui invece sedesse su una montagna di voti. È il ruggito del coniglio. Sulla giustizia il premier e Bonafede hanno fatto come gli americani in Vietnam, si sono ritirati per poter dire di aver pareggiato. Pure Renzi è dovuto venire a miti consigli. Con decisione salomonica, la modifica della legge sull' abolizione della prescrizione è finita nel progetto di riforma del processo penale, che però sarà varata tra sei mesi, forse. «Siamo alleati ma non sudditi» è il messaggio finale dell' ex premier, i cui uomini annunciano nuove battaglie sulla giustizia, ma più lontane nel tempo; intanto fanno slittare di due mesi la mozione di sfiducia personale contro Bonafede, che resta con una spada di Damocle spuntata sulla testa. QUALI RESPONSABILI? In realtà entrambi i contendenti si sono ritrovati con le mani vuote. Per questo, se Conte non teme di cadere, noi viceversa siamo terrorizzati che resti. Il premier ha speso gli ultimi giorni ad andare alla ricerca di responsabili, ovverosia di forzisti delusi ed emarginati che siano disposti a votare la sua maggioranza e rendere Italia Viva non decisiva per la sopravvivenza del governo. La pesca tuttavia non è stata miracolosa. Nemmeno i più disperati pensano che convenga lasciare la zattera azzurra per il Titanic giallorosso. Il suo portavoce, Casalino, è convinto che, se cadesse il due, ci sarebbe un Conte tre, ma il professore, dopo averci alacremente lavorato, è costretto a gettare acqua sul fuoco. Ma un problema di reclutamento ce l' ha anche Renzi. La sua fedelissima, Alessia Morani, si è lasciata sfuggire che nel partito «c' è disagio per le posizioni sulla giustizia» e subito si è pensato che qualcuno meditasse un rientro nel Pd. Ipotesi. Quel che è sicuro, è che l' ex rottamatore non riesce a far breccia nel cuore della Carfagna, che si fa tentare e corteggiare ma non negozia le proprie virtù, anche perché non si capisce cosa otterrebbe in cambio. Matteo continua a comportarsi come se i suoi consensi possano crescere solo se insisterà a fare l' opposizione all' esecutivo dal suo interno, però non dev' essere troppo convinto della propria strategia. Non si spiegherebbero altrimenti le voci insistenti di un piano b: governo istituzionale, sostenuto anche da Salvini, con Draghi premier, per fare la riforma elettorale, mettere le mani nelle tasche degli italiani senza sporcarsi le proprie, fermare tutto sulla giustizia e andare al voto. TUTTI IMMOBILI Scenario improbabile, ma sufficiente per allarmare Zingaretti e fargli sostenere che, se cade questo governo, si vota. Quando lo diceva Salvini, ad agosto, lo accusavano di voler espropriare i poteri del presidente della Repubblica e imitare Mussolini. Nicola però è di sinistra, può fare e dire di tutto, tanto la patente di democratico e giusto non gliela toglie nessuno. E allora avanti così. Pur di non far votare gli italiani e dare il pallino a chi, anche dal Papeete, sarebbe stato meglio di questi, Mattarella ha consegnato i pieni poteri a un' armata Brancaleone senza leone, che dopo la Finanziaria del 2019 praticamente non ha più legiferato e ha portato l' Italia sulla prima carrozza del treno della crisi mondiale. Il presidente, quello vero, dovrebbe prendere tutti i governanti per le orecchie da somaro e dichiarare finita la ricreazione, anziché continuare a rispondere alle chiamate lamentose di Conte, che ha scambiato il Quirinale per il telefono azzurro. di Pietro Senaldi

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