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Governo, la crisi è più vicina: quando può cadere tutto

Andrea Tempestini
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A fissare una deadline è stato Matto Renzi, che all'Assemblea del Pd, più concentrata sul futuro dell'esecutivo che su quello del partito e della riforma elettorale, ha chiesto di pensare alle sorti del governo in un'altra sede, nella prossima Assemblea, quella del 20 febbraio. Tredici giorni di tregua per Enrico Letta, dunque? Forse. O forse no. Le voci secondo le quali un'immediata scalata del segretario Pd a Palazzo Chigi sarebbe imminente sono sempre più udibili. Anche Gianni Cuperlo ha chiesto a Renzi di valutare l'ipotesi di "farsi" premier subito, immediatamente. Forse, quella dei cuperliani, è solo una tattica per logorarlo (o per evitare il voto) e poi riprendersi il partito. Di sicuro, però, c'è il fatto che ora anche porzioni del Pd che non lo vedono di buon occhio vorrebbero il sindaco fiorentino a Palazzo Chigi. Controsensi democratici - Dunque i "tredici giorni di tregua" di cui dovrebbe godere Letta potrebbero rivelarsi, invece, quelli della battaglia più dura. Il "blitz" per portare Matteo alla presidenza del Consiglio, infatti, potrebbe avvenire ancor prima che il Pd decida la sua posizione sul governo (già, può sembrare assurdo, o grottesco, o un controsenso, ma i democrat hanno messo all'ordine del giorno la "posizione" da prendere sull'esecutivo, come se dell'esecutivo stesso non fossero azionisti di - stra - grande maggioranza). Può bastare un incidente. Può essere sufficiente uno sgambetto. Il fuco di qualche falco tiratore potrebbe far crollare la scricchiolante barricata eretta da Giorgio Napolitano (che Renzi a Palazzo Chigi, seppur come extrema ratio, lo potrebbe anche benedire). Insomma, può bastare davvero poco per far capitolare l'ultimo traballante baluardo delle larghe intese che furono e che, oggi, danzano sul sottile filo dei pochi voti in più in cui di cui dispongono. Pallottole e pallottolieri - "Non voglio galleggiare", ha detto Letta in Assemblea, mostrandosi tranquillo, poco preoccupato. Per galleggiare, non galleggerà. Al più una zavorra potrebbe portarlo a fondo. Quale zavorra? Per esempio la riforma elettorale, l'Italicum, ultima liana a cui s'aggrappa il governicchio. Il testo martedì arriverà a Montecitorio. Mano al pallottoliere. I conti li deleghiamo al ragionamento del renziano Dario Nardella, che secondo quanto riporta l'Huffington Post, ai colleghi in Transatlantico spiegava: "La verifica vera per il governo è sull'Italicum. Se ci sono 50-60 franchi tiratori allora salta tutto". E con "tutto" si intende "legislatura". In caso di collasso, con il Colle arroccato nel non voler concedere il voto anticipato ma determinato a tentare la strada di nuove consultazioni, ecco che l'unica pedina in grado di poter coagulare attorno a sé una maggioranza sarebbe proprio Renzi. A lui potrebbe essere delegato il compito di plasmare quel "governo per le riforme" che Letta avrebbe dovuto guidare ma che, ormai, da mesi giace su un binario morto. Enrico nel deserto - Il fatto curioso è che i franchi tiratori potrebbero annidarsi solo, o quasi, tra le fila del Pd. O meglio tra le fila della sinistra più a sinistra del Pd (si pensi nuovamente all'apertura, definiamola così, di Cuperlo, uomo-simbolo dell'ortodossia del Nazareno). Sempre l'Huffpost cita dichiarazioni di democratici anonimi: "Quelli che vogliono un nuovo governo potrebbero, nel segreto dell'urna, dare il segnale sulla legge elettorale, per poi fare il nome di Renzi alle consultazioni). A quale pro? Diverse le ipotesi. La prima, e già citata: logorare Matteo. La seconda: evitare le elezioni dove il centrodestra, ad oggi, vincerebbe. La terza: nessun pro, semplice presa d'atto del fallimento di Letta e dello strapotere del primo cittadino di Firenze. Il premier, questo il punto, è isolato: Confindustria gli ha girato le spalle, al pari di sindacati (si pensi all'allineamento dell'amico Raffaele Bonanni con Giorgio Squinzi), piccole imprese e artigiani di Rete Italia. Centrini al napalm - Un Vietnam, per Enrico, che se anche si dovesse salvare dal napalm che può incendiare l'Italicum rischierebbe la legislatura in una seconda occasione: il salva-Roma. Il discusso decreto è atteso alla Camera la settimana successiva all'arrivo dell'Italicum. Un decreto bollato anche dal Colle-amico come una mezza porcheria. Un decreto, insomma, che sembra vergato ad hoc per chi di questo governo, pure nella maggioranza, se ne vuole sbarazzare. Basterebbe bocciarlo per fare strike: ko il salva-Roma, ko pure Letta. Uno scenario realistico, tanto che ai più attenti non saranno sfuggite le "moine" tra Scelta Civica e i renziani. Nel dettaglio tra Stefania Giannini e Andrea Romano e i fedelissimi di Matteo. Anche i centrini, piccola fetta ma fondamentale di questa maggioranza (e primo tra tutti Mario Monti, a caccia di nuove poltrone) si sono dunque convertiti al renzismo spinto. Il pallottoliere prende nota. Letta incassa e prende atto: i giorni sono contati. (an.t.)

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