L'articolo 18 sta diventando una battaglia di bandiera. Più che ideologica, però, la questione è tutta politica. Come in precedenza, il premier Matteo Renzi sta cercando di stroncare sul nascere l'opposizione interna. "Lo Statuto dei lavoratori va cambiato tutto, è stato pensato 44 anni fa. E l'articolo 18 non difende tutti, anzi non difende quasi nessuno - spiega Renzi a Repubblica -. Nel 2013 i lavoratori reintegrati sono stati meno di tremila", cioè lo 0,0001 dei lavoratori dipendenti italiani. Secondo il presidente del Consiglio è impossibile mantenere il reintegro se non nei casi di discriminazione: "Il reintegro spaventa gli imprenditori e mette in mano ai giudici la vita delle aziende". Niente articolo 18 "congelato" per i primi 3 o 4 anni, come richiesto dalla minoranza Pd. Semmai, più garanzie per tutti i lavoratori, anche quelli delle imprese con meno di 15 dipendenti (per cui oggi non vale l'articolo 18). E per i licenziati senza discriminazione "indennizzo e presa in carico da parte dello Stato. Perdi il lavoro? Lo Stato ti aiuta a ritrovarlo, facendoti corso di formazione e almeno due proposte di lavoro". "Rischio di problema politico" - Lunedì Renzi incontrerà gli oppositori nella direzione Pd, "prevarranno posizioni di saggezza". Ma se in Aula il Jobs Act passerà grazie ai voti di Forza Italia, "allora si aprirà un problema politico, mi limito a dire solo questo". Chi conosce Renzi e le cose della politica, legge in questo avvertimento la disponibilità a rompere gli indugi e andare a votare, perché governare con un partito di maggioranza spaccato non sarebbe obiettivamente possibile. Visti i sondaggi, a perderci sarebbero di certo i duri e puri della minoranza dem. Secondo la rilevazione di Nando Pagnoncelli pubblicata dal Corriere della Sera, il 73% degli elettori Pd è favorevole alla riforma studiata da Renzi e solo il 20% è contrario. Numeri che rischierebbero di riflettersi anche alle urne. "Le manovre dei Poteri forti" - Sempre dal Corriere, Massimo D'Alema ha provocato Matteo sostenendo che sulla riforma del lavoro e più in generale sulle politiche del governo il premier è "istruito da Verdini, Berlusconi e i vecchi di Forza Italia". Affondo clamoroso che fa un po' il paio con l'editoriale di fuoco di De Bortoli sempre sul Corsera, quello di Renzi "schiavo dei poteri forti" e "in odore di Massoneria". Ma il premier rovescia le accuse: "Negli ultimi giorni si sono schierati contro il governo direttori di giornali, imprenditori, banchieri, prelati. Attacco studiato? Sono così beatamente ingenuo che credo alle coincidenze". Poi via l'ironia: "Vogliono chiedermi in sei mesi quello che loro non hanno fatto in vent'anni? Legittimo, ma io governo senza di loro, senza consultarli, senza omaggiarli, senza padroni né padrini". E sulle possibili "congiure" di Palazzo che mirerebbero a portare al potere il duo Draghi-Visco, Renzi allarga le braccia: "Decide il Parlamento. Se pensando di avere i numeri e il candidato giusto ci provino. Ma sarebbe paradossale che dopo che il Pd ha preso il 41% nel Paese e un'ampia maggioranza in Parlamento si chiedesse ai democratici di rinunciare a fare ciò che abbiamo promesso al Paese". Insomma, l'obiettivo è quello di finire la legislatura: "Si vota nel febbraio 2018". Con buona pace, è la sfida di Renzi, di D'Alema, Bagnasco e Della Valle.
