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Decreto Rilancio, impoverito il Nord al posto di arricchire il Sud: le prodezze di Conte e soci

Conte tra le carte

Sandro Iacometti
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Pane gratis al posto dei forni. Piuttosto che rilanciare gli investimenti, sbloccare i cantieri e mettere le imprese in condizione di tornare a pedalare, il governo ha preferito sminuzzare i 55 miliardi di deficit in dotazione in una miriade di mollichine da gettare in pasto agli italiani. Con un occhio di riguardo per il proprio elettorato, che evidentemente non abita nelle regioni del Nord, da cui arriva più di metà del pil italiano.

La conferenza stampa trionfale tenuta da Giuseppe Conte (insieme a Gualtieri, Patuanelli, Speranza e Bellanova, che parlando dei migranti ha persino versato qualche lacrima) al termine dei Consiglio dei ministri ha confermato quello che tutti avevano già capito. Serviva un provvedimento snello, agile, che individuasse pochi macrobiettivi per consentire alla parte produttiva del Paese di riaccendere i motori. È uscito fuori un testo di quasi 500 pagine più aggrovigliato di una manovra finanziaria, con aiuti a pioggia per colf, badanti, immigrati clandestini, lavoratori in nero e una serie di microinterventi farraginosi per imprese e partite iva. Un «mosaico», lo ha definito Patuanelli. Un'accozzaglia, verrebbe da dire. Con i numeri che parlano chiaro: «25,6 miliardi per i lavoratori, 15-16 miliardi per le aziende», ha detto il premier.

Nel decreto legge Aprile ribattezzato spudoratamente Rilancio (per far dimenticare che è allo studio da marzo) c'è, seppure edulcorata in modo da renderla digeribile ai grillini, la grande sanatoria per i lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno e per tutti quelli assunti in nero, ci sono il reddito di emergenza per chi è sconosciuto al fisco, il bonus una tantum senza condizioni per i collaboratori domestici, un ulteriore allargamento delle maglie per i percettori del reddito di cittadinanza.

Ma non c'è traccia dei voucher chiesti a gran voce dalle aziende agricole né della annunciata semplificazione del codice degli appalti, mancano, come denuncia Filiera Italia, due mesi di copertura per la cassa integrazione (durante i quali le imprese non potranno licenziare), non c'è la possibilità per le Pmi di usufruire dell'ecobonus né quella per le partite Iva che hanno ricevuto l'indennizzo da 600 euro di accedere ai finanziamenti a fondo perduto per le ditte fino a 5 milioni di fatturato (la cui erogazione è vincolata a mille requisiti e i cui importi nella versione finale sono stati ridotti al lumicino).

 

 

Certo, il provvedimento taglia una rata dell'Irap (che alle piccole aziende fa il solletico), rinvia buona parte delle tasse (e a settembre saranno dolori), sospende il pagamento dell'Imu per alcune categorie (che non possono utilizzare i propri beni a causa del lockdown), concede un po' di crediti di imposta sulle spese per l'affitto e per la messa in sicurezza dei locali (che non tutti avranno la capienza fiscale per incassare). Ma il grosso dell'impianto è formato da un fiume di sussidi disperso in mille rivoli. Una scelta piena di insidie, sia sotto il profilo sociale sia sotto quello politico. La parcellizzazione delle risorse ha costretto il governo a suddividere i gruzzoli e a stabilire tetti non oltrepassabili. Il risultato sarà devastante.

Intanto, la dote limitata spingerà i beneficiari a scannarsi per un tozzo di pane. In altre parole, farà scattare il solito assalto all'Inps, con le conseguenze che tutti abbiamo visto con i famosi 600 euro. Secondo punto, non meno esplosivo, riguarda l'esaurimento delle risorse: qualcuno, inevitabilmente, resterà a bocca asciutta. Forse più di qualcuno, se pensiamo a come è andata a finire con l'indennizzo per gli autonomi e con la cassa integrazione. Su quest'ultimo capitolo i 5 miliardi lasciati dal Cura Italia sono finiti in un battibaleno, lasciando scoperte richieste per circa 3 miliardi di euro. Ora ci sono altre 9 settimane di ammortizzatori sociali in ballo. E i 15 miliardi stanziati serviranno pure per rimpolpare la precedente dote.

Nulla di più probabile, dunque, considerato il crollo della produzione e le regole di sicurezza che renderanno impossibile a molte imprese tornare a fatturare, che i soldi finiranno presto. Fortuna che il governo, su pressione della Confsal, che si era accorta del pasticcio, ha almeno creato un Fondo di garanzia. Altrimenti c'era pure il rischio che i lavoratori esclusi dalla lotteria della Cig avrebbero dovuto restituire gli anticipi erogati dalle banche. La sensazione complessiva è che invece di consentire al Sud di arricchirsi, abbattendo la burocrazia, favorendo la crescita e lo sviluppo, il governo abbia scelto ancora una volta di impoverire il Nord, non fornendo gli strumenti necessari alla ripartenza. Le conseguenze, purtroppo, le pagheremo tutti.

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