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Giuseppe Conte, gli aiuti del governo non arrivano e il premier si arrende: liberi tutti

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"Da lunedì via alle autocertificazioni". Lo ha Giuseppe Conte all'inizio del suo discorso di ieri sera. Non era un errore nel testo che leggeva era scritto proprio così tanto che è stato pubblicato in questo modo sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri. Lo rivela Franco Bechis nel suo editoriale sul Tempo. La verità è che torniamo, sia pure in due rapide tappe, un paese di uomini liberi. Il premier nel giro di pochissime ore si è arreso alla realtà, scaricando comitati tecnici scientifici che lo avrebbero frenato ancora a lungo non avendo altre soluzioni dopo tanto tempo se non la più facile e immediata: il lockdown, la chiusura in gabbia degli italiani e di ogni attività del paese.

 

 

Una svolta evidente rispetto anche a tutta la comunicazione del presidente del Consiglio in queste settimane, avvenuta proprio nelle ultime ore durante il confronto serrato con le Regioni e gli enti locali. Conte ha ceduto su ogni richiesta arrivata, a un patto: che ora la responsabilità ricada sugli enti locali che lo hanno convinto o costretto a un passo che il comitato tecnico scientifico gli chiedeva con ostinazione di non fare. Il presidente del Consiglio ha capito che la cura economica che il governo sperava di accompagnare alle chiusure, in parte è fallita e comunque è assolutamente insufficiente. Quasi un terzo delle misure del decreto cura Italia da 25 miliardi varato il 17 marzo scorso non è ancora andato a segno. Appena il 3 per cento del decreto liquidità da 400 miliardi di euro varato ai primi di aprile è diventato una pratica di finanziamento alle imprese. Il decreto rilancio da 55 miliardi di euro già illustrato in conferenza stampa giorni fa è ancora un fantasma. Per questo Conte ha ceduto su tutta la linea: i 4 metri di distanza, i plexiglass, le protezioni eccessive e ha buttato al macero i documenti del Cts e dell'Inail perché con quelle regole non si sarebbe potuto riaprire nulla con serietà. 

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