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Le idiozie dei politici, un vademecum per non dimenticare

 Il conte Mascetti /Ugo Tognazzi mentre fa la supercazzola

L'arte della supecazzola di Alberto Forchielli e Michele Mengoli

Francesco Specchia
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La supercazzola, il respiro di un paese civile. “Blinda la supercazzola prematurata con scappellamento a destra come fosse antani, tarapia, tapioca, allaccia, allacciascarpa. Come fosse antani anche per lei..?”.

Che fosse neologismo metasemantico, tripudio del nonsenso o semplice citazione, quando Gianmarco Tognazzi ha pubblicato, giorni fa, la voce del padre Ugo nei panni del Conte Mascetti che doppiava il video del premier Conte Giuseppe all’ennesimo annuncio pubblico dell’ennesimo “decreto Rilancio”; be’, in quel momento, molti hanno fatto la òla. La bugia seriale come strumento di potere aveva finalmente raggiunto lo zenith; i luoghi comuni di un dilettantismo politicamente non comune s’erano sublimati in forma d’arte. Infatti, non è un caso che sia appena uscito L’arte delle Supercazzola- Lessico essenziale dell’Italia che non ci meritiamo, dal 1861 al coronavirus (Baldini+Castoldi, pp. 176, euro 16) a firma di Alberto Forchielli e Michele Mengoli. Trattasi d’un vademecum per difenderci dalle leadership senza contenuti; anticipato, tra l’altro, da un trailer esilarante in cui lo stesso Forchielli – consulente di multinazionali e governi, fondatore del private equity Mandarin Capital Partners, nonché modello delle imitazioni di Crozza- attraversa la storia nei panni più disparati da Roosevelt al capitano Kirk di Star Trek. I due autori sono i lodevoli promotori d’un’Italia utopica fatta di talenti espressi, di meritocrazia, di uno Stato dai tratti scandinavi che taglia le tasse, azzera i debiti e eroga i crediti: il tutto condensato nel movimento “muoviculista” (dal loro best seller Muovete il culo!). Sicché, per loro, è stato abbastanza semplice canonizzare la supercazzola come spia dell’inefficienza d’un popolo. Naturalmente sugli interventi di Conte si sono sbizzarriti. Esempi esemplari, quelli sui giovani: “Con un accordo quadro per valorizzare le eccellenze del territorio attraverso una cabina di regia, coordinata da un presidente di garanzia, per evitare la macelleria sociale, ripartendo dalle periferie e con la riscossa del Mezzogiorno, d’altronde ce lo chiede l’Europa, dopo che siamo andati a Bruxelles a battere i pugni sul tavolo”. O sulla Tav: “Non ho mai preso una posizione a favore o contro e ho dichiarato da subito di voler affrontare questa questione con estremo senso di responsabilità, senza alcun atteggiamento pregiudizievole, con equilibrio, essendo guidato esclusivamente dalla tutela degli interessi dei cittadini…”. Con Conte e la politica è tutto un florilegio di “fare sistema” “cabina di regia”; “spending review”; “analisi costi benefici”; “la procura ha aperto un fascicolo”; “task force”; “gli immigrati ci pagheranno le pensioni”; “la Procura ha aperto un fascicolo”; “siamo pieni di eccellenze”; “sarà un anno meraviglioso”;  “se tutti pagassero le tasse”; “la lotta all’evasione fiscale è la nostra priorità”. Per non dire dell’evasivo, oramai mitico, discorso sul lockdown: “Ci avviamo ad allentare un lockdown per il 4 maggio ma c’è un meccanismo in cui le Regioni, con cui la collaborazione dovrà essere ancora più integrata, dovranno informarci sull’andamento della curva epidemiologica e sull’adeguatezza delle strutture…”. Che uno, dopo aver tentato di decifrare si chiede: e quindi? Che cacchio ha detto?

Tra le più belle uscite della politica c’è il “fidatevi dello Stato”, “d’altronde, ci si può fidare di uno Stato che fa il ‘prelievo notturno’? Com’è capitato nel caso del premier Giuliano Amato che, nella notte tra 9 e 10 luglio 1992, ha prelevato di nascosto il 6 per mille su tutti depositi bancari”, si domandano Forchielli e Mengoli. E via discorrendo. Emergono, in questo trattatello, parole che nella loro vuota durezza, assumono una certa, fascinosa valenza culturale. Tant’è che io, ogni volta che Conte, la pandetta vivente, si avvicina al microfono evocando “l’impegno che abbiamo preso coi cittadini” m’immagino sempre il Conte Mascetti che si rivolge al Necchi: “Non ti devi permettere di interrompere mentre faccio la supercazzola”.

Tant’è che la supercazzola in senso stretto – non solo quella attribuita a Corrado Loiacono prima ancora che a Mario Monicelli in Amici miei- in effetti ha delle radici storiche ben solide. Senza richiamare il dialogo di Socrate con Fedro ( “le cose scritte sembra che ti parlino come se fossero intelligenti, eppure se chiedi loro qualcosa su ciò che ti dicono, per desiderio che ti istruiscano di più, continuano a ripetere sempre la stessa cosa”), germi di questo genere letterario si ritrovano nell’Emporio celeste di Borges, nella filosofia di Maurizio Ferraris, nelle battute brucianti di Altan quando diceva che “Qua oramai non solo si parla, ma si pensa a vanvera”. La vera supercazzola, però, è il teatro moderno: è il grammelot di Dario Fo, è Gigi Proietti che recita Il lonfo: “Il Lonfo non vaterca né gluisce /e molto raramente barigatta, / ma quando soffia il bego a bisce bisce / sdilenca un poco e gnagio s’archipatta. È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna / arrafferia malversa e sofolenta!”. Che poi, se ci oensate, è un incrocio fra le “convergenze parallele” di Aldo Moro e una qualsiasi uscita di un membro di governo ispirato dal post-Coronavirus. Forchielli e Mengoli sono, inevitabilmente, più politici dei loro recensori. E spiegano quanto la supercazzola  sia connaturata alla “classe politica italiana attuale che, tranne rarissime eccezioni, dal premier ai ministri fino ai portavoce e portaborse di vario genere, insieme alla relativa pletora di consulenti e dirigenti al loro soldo, tra impreparazione o perseguimento del solo interesse “poltronistico” personale, naviga a vista e la loro unica speranza, bugia dopo bugia, è quella di confidare sulla memoria corta e/o l’indifferenza dei cittadini”. E, in effetti, a noi italiani ci frega la nostra memoria da criceto. Illudiamoci che sia solo quella. Come fosse antani…

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