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Giulio Tremonti a Senaldi: "Conte si illude. Prima di darci i soldi l'Europa ci farà le pulci"

Pietro Senaldi
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Chi pensava che il Covid-19 avrebbe cambiato l'Unione Europea, trasformandola in una grande famiglia i cui componenti fanno a gara per essere solidali l'uno con l'altro è destinato ad avere un brusco risveglio. Attendiamo 36 miliardi dal Mes, 150 dal Recovery Found, 4 o 5 dal Sure. Nell'immaginario collettivo questo denaro è come una mela sull'albero, basta alzare il braccio e lo si coglie. Non così però la pensano gli altri Stati della Ue, e non solo quelli più rigorosi, che chiedono riforme, impegni e hanno tempi lunghi prima di scucire. Il massimo esperto italiano di rapporti economici con la Ue, forse il solo, è Giulio Tremonti. Da ministro dell'Economia e delle Finanze anticipò la crisi del 2008 e resistette fino alla sciagurata estate del 2011, quando improvvisamente l'equilibrio saltò, ma per ragioni politiche, rese evidenti dagli sfottò a Berlusconi dell'asse Merkel-Sarkozy e dalle trame del Colle per spodestare il nostro premier.

 

 

 

 

 

Professore, che cosa ci aspetta in Europa?
«Abbiamo un primo ministro che si è autoazzoppato e un piano europeo che si è autoridotto».
Conte prova a far la voce grossa, ma chi è causa del suo mal dovrebbe piangere se stesso?
«Per legge, prima di ogni formale consiglio europeo il governo deve chiedere il voto favorevole del Parlamento, che con il suo mandato rafforza il premier. Conte prima del consiglio di venerdì si è sottratto al voto e con ciò si è mostrato debole agli occhi dell'Europa».
D'accordo professore, ma cosa c'entra la debolezza di Conte con la riduzione dello sforzo economico del Recovery Fund?
«Nella versione originaria, il piano si chiamava Recovery Fund. È stato ribattezzato Nexy Generation dopo. Questo non è avvenuto per caso ma pour cause. Recovery in inglese vuol dire recupero, guarigione, e questo corrispondeva all'idea originaria del piano, il salvataggio dai disastri economici e sociali causati dalla pandemia. Il Next Generation ha una diversa direzione, non guarda agli effetti della pandemia, ma al futuro».
Questo cosa cambia in termini di aiuto?
«Probabile che muteranno i numeri, ovverosia la quantità di denaro in arrivo, e con essi le causali e le determinazioni della Ue. Il cambio di nome non è uno scarto semantico marginale, sancisce la variazione della filosofia dell'intervento, che non è più un'operazione urgente di salvataggio dalla crisi post Covid-19 ma un investimento per le generazioni future».
Significa anche che non vedremo i quattrini a breve?
«L'arrivo dei soldi è una conseguenza della direzione politica della Ue».
Andiamo davvero verso una Ue solidale che privilegia crescita e consumi rispetto ad austerità e rispetto dei parametri?
«Oggi è molto elegante sostenere che la Ue sta entrando in una dimensione "hamiltoniana", dal nome di Alexander Hamilton, famoso per la sua celebre frase "con una modesta quantità di denaro fonderemo una grande Nazione". Un'immagine bellissima che ho usato nel Parlamento italiano e in quello europeo quando, già nel 2003, parlai di eurobond».
Professore, non ha risposto.
«Ritengo che la traiettoria che sta prendendo la Ue sia assolutamente positiva ma ancora in divenire. C'è il rischio che l'eccesso delle aspettative si risolva in un boomerang contro l'Europa stessa. Ho il dubbio che le iniziative post Covid-19, presentate come un cambio di direzione permanente, stiano diventando un piano a termine. C'è un'asimmetria tra le aspettative che abbiamo in Italia e la realtà che si sta sviluppando a Bruxelles e nelle altri capitali della Ue. C'è differenza tra i discorsi che si fanno a Roma e quelli che si tengono a Berlino e Parigi».
Mi scusi, banalizzo e volgarizzo: la Ue è il solito bordello?
«La Ue si è improvvisamente auto disapplicata: ha sospeso il patto di stabilità, cancellato i sinistri parametri di Maastricht, rimosso il divieto degli aiuti di Stato alle aziende e superato il pregiudizio contro la moneta facile. Quello che sta facendo la Bce, col suo "fiat money", creando continuamente dal nulla trilioni senza base nella realtà, ricorda per certi versi i buoni MEFO fatti negli anni Trenta da Schacht, il ministro dell'Economia di Hitler. Lui creava denaro artificiale a circolazione limitata per finanziare l'industria bellica, l'Europa lo fa per generare liquidità e trasferirla alle banche».
Paragone poco rassicurante.
«I risultati sono diversi ma la tecnica è la stessa. Gli anni Venti di questo secolo ricordano quelli del secolo scorso. Ma l'Europa che ha abbandonato Maastricht, permette gli aiuti di Stato e stampa denaro a pioggia è provvisoria: tornerà al rigore e ai criteri originari o imploderà nell'eccesso di non rigore».
Se torna il rigore, noi ci troveremo con un debito pubblico al 160%, un'economia sussidiata e deindustrializzata e tutti i problemi che abbiamo oggi irrisolti.
«Scenario di rischio possibile».
Consoliamoci parlando della Ue che non c'è ancora, quella della Next Generation.
«Sembra un tempo lontanissimo, ma solo pochi mesi fa i vertici europei presentavano un intervento straordinario anti-Covid 19 da un trilione e mezzo di euro. Oggi sono scesi alla metà, 700 miliardi; ma appena l'altro ieri Germania e Francia hanno già ipotizzato 500 miliardi. Non serve tanta immaginazione per intuire il rischio che lì si finirà».
Questi euro-fantastiliardi da dove li prendiamo?
«A oggi, ma sarà così per tutto il 2020, i fondi declinati a Next Generation non ci sono. I soldi saranno raccolti sul mercato con l'emissione di bond europei. Ma per emettere bond devi avere una base di garanzia, altrimenti è difficile trovare chi ti fa credito. Le istituzioni europee tuttavia non hanno un patrimonio proprio né entrate proprie da usare come base di garanzia per l'intervento. In più, il Trattato Europeo vieta agli Stati membri di finanziare il debito di altre nazioni». 
Quindi gli eurobond non ci saranno mai?
«No, si faranno. Oggi, dopo 17 anni pare superata l'ipocrisia che si vedeva nell'uso della formula recovery bond al posto della più politica dizione eurobond. Tutto ciò è positivo. Significa che le idee giuste, seppure in salita, camminano; sono le sbagliate che corrono in discesa».
Ma dove sta la base di garanzia per emettere eurobond?
«Per creare la base di garanzia l'Unione può sviluppare il bilancio 2021-27 prevedendo un aumento dei contributi dei singoli Stati oppure programmando nuove entrate derivanti dall'istituzione di altre tasse europee. La prima soluzione è politicamente critica, perché il bilancio si approva con il voto favorevole di tutti gli Stati membri. E qui si incroceranno le resistenze non solo dei Paesi nordici, difensori dell'austerità, ma anche le perplessità degli Stati dell'Est, che sono più poveri, perché hanno un debito più basso ma anche meno reddito».
Ci verranno in soccorso le nuove imposte europee, per esempio la famosa tassa su Internet? 
«Una web tax europea è ancora tutta da inventare e impone di superare il conflitto con gli Usa. Al momento c'è in Francia ma è sterilizzata e lo stesso è per la nostra, che ha un valore previsto di 700 milioni. Se si proietta questa grandezza sull'Europa si può stimare un gettito complessivo di alcuni miliardi, 5-6, una base di garanzia non sufficiente per fare un debito di 700 miliardi».
Quindi il piano dipende interamente dai mercati?
«Considerando i tempi e i metodi dell'ingegneria finanziaria, non ci si può illudere che sia in arrivo una massa enorme di denaro. I miliardi di Next Generation vanno raccolti sui mercati internazionali, dove non c'è la fila per dare quattrini alla Commissione Ue. Il flusso di denaro dalla Ue sarà concentrato nel trienno 2022-24. I conti non vanno fatti solo sullo sviluppo di un bilancio che occupa sette anni ma anche su due ulteriori variabili».
Per esempio il fatto che la torta non è tutta per noi?
«La massa di denaro va divisa per 27 ed è probabile che la mutazione genetica del piano da Recovery a Next Generation riduca l'entità di denaro destinata all'Italia. La nostra quota è ancora indeterminata, neppure si sa quanto di essa sarà a debito e quanto a fondo perduto».
C'è poi la variabile delle riforme che ci chiederanno: tornerà il tormentone dei compiti a casa?
«Prima di darci denaro, l'Europa vorrà sapere quali riforme faremo. Anzi, ce le suggerirà. Io, con la famosa lettera inviata al governo italiano dalla Bce il 5 agosto 2011, che pretendeva risposte in pochi giorni, ho qualche esperienza della benevola attenzione con la quale la Ue chiede all'Italia di fare riforme».
Le riforme ci servirebbero. 
«Che le riforme vadano fatte è giusto. Che siano giuste le riforme che ci chiedono, non è detto. E poi, una volta che hai programmato le riforme, devi preparare i singoli piani d'investimento dei soldi che l'Europa ti concede. E devi redigere dossier analitici, minuziosi, calendarizzati, devi tracciare le procedure. Il tutto controllato giorno per giorno sia dalla Commissione Ue sia dagli Stati. Non sarebbe improbabile che il Parlamento tedesco chiedesse ai suoi ministri di riferire su come l'Italia spende i soldi che Berlino considera propri. Nel Paese delle mille leggi vedo difficile che venga fuori qualcosa di buono, l'esercizio sarà piuttosto complesso».
Sta dicendo che non riusciremo a presentare dei piani adeguati di utilizzo degli aiuti Ue?
«Considerando quanto è stato fatto da ultimo, in particolare in questa emergenza, con un decreto continuo che si attorciglia su se stesso partendo da marzo fino a luglio in attesa di infiniti provvedimenti - si fa per dire attuativi - è probabile che le nostre difficoltà istituzionali e ambientali saranno tali da abbattere molte delle aspettative salvifiche che nutriamo».
Insomma, dal Covid ci dobbiamo rialzare da soli?
«Non è ancora noto lo stato della nostra finanza pubblica. Entro l'autunno ci sarà evidenza dei numeri e alle criticità finanziarie si sommeranno quelle sociali. In ogni caso, se si pensa che la soluzione sia nel piano Next Generation, si sviluppa una prospettiva che si perde nell'assurdo. Se si pensa al Mes come strumento per acquisire liquidità istantanea si resta delusi andando sul sito del Mes, dove sono evidenti i tempi e i metodi delle procedure richieste e le finalità prettamente finanziarie. Chi in Parlamento o al governo pensa che si tratti di mezzi necessari e sufficienti per gestire l'emergenza di questo autunno, forse deve andare su altri siti».
Cosa ci servirebbe?
«Una visione del futuro che al governo manca. I Paesi risolvono i loro drammi nell'unità, come la Germania nel 2004, quando emersero i costi della riunificazione e nacque la grande coalizione, che ancora oggi guida il Paese. In Italia però non vedo un ethos politico allineato al dramma del tempo attuale. Il salvataggio del Paese non può essere il programma di un solo partito; non ce n'è uno in grado di realizzarlo».

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