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Matteo Salvini, Pietro Senaldi: il piano della sinistra? Una legge ad hoc per disarmarlo

Pietro Senaldi
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Quelli del Pd e quelli di M5S si stanno industriando per cambiare la legge elettorale, come è consuetudine della maggioranza di governo, a ogni legislatura. Lo scopo, chiunque metta mano alla norma, è sempre lo stesso: garantirsi la vittoria alle urne. L'esito è immancabilmente l'opposto: una cocente sconfitta. A questo giro, c'è pure la scusa buona per la riforma: a settembre, con ogni probabilità, gli italiani approveranno mediante referendum il taglio di un terzo dei parlamentari, giustificazione imperdibile per cambiare le regole cercando di volgerle a proprio vantaggio. Così, grillini e piddini, che dall'Europa alla Tav, dalla riforma fiscale alla giustizia, non vanno più d'accordo su nulla, sono pronti a trovare la quadra su come spartirsi più seggi possibili.

Paralizzati sui provvedimenti economici, i giallorossi vagheggiano di votare la nuova legge elettorale entro fine mese almeno alla Camera. Zingaretti e Crimi, per quel che contano, non vedono l'ora di tornare al sistema proporzionale puro, di rito democristiano, ma con uno sbarramento molto alto, possibilmente del 5%: chi prende meno, è fuori dal Parlamento. La soluzione consentirebbe al Pd di liberarsi di Renzi, o quanto meno di tenerlo in pugno, e anche di Calenda, i cui partitini non sono in grado di superare la fatidica soglia. I grillini, che oggi potrebbero arrivare primi giusto nel collegio di Pomigliano d'Arco, avrebbero la possibilità di non sparire e di presentarsi autonomamente, senza dover fare imbarazzanti alleanze con i dem, cosa che per le Regionali di settembre non gli sta riuscendo. 

 

I giallorossi nutrono anche la speranza, piuttosto remota, di poter, grazie al proporzionale, staccare Forza Italia dal centrodestra e trovare tra gli azzurri i voti necessari per una nuova maggioranza, casomai alla prossima legislatura non ce la facessero da soli, cosa questa invece certa. È lecito sognare, ma è difficile che Berlusconi decida, come ultimo gesto politico, di rinnegare se stesso e la sua storia dando manforte a M5S, come è improbabile che i suoi voti possano bastare in futuro per mettere insieme un governo rosso-giallo-azzurro. 

GOVERNARE IN MINORANZA
Poiché l'esternazione dei calcoli politici di basso potere nuoce all'immagine, i giallorossi si stanno industriando per dare all'operazione una patina che la faccia passare come un doveroso tentativo di salvaguardare i valori della Repubblica. Così, il partito che si è autobattezzato democratico e quello che voleva abbattere la Casta per consegnare il Palazzo al popolo, dichiarano come fosse normale che lo scopo principale della riforma elettorale è impedire che il partito più votato dagli italiani governi. 

«Non possiamo regalare l'Italia a Salvini» affermano i giallorossi con il medesimo candore con il quale un anno fa, ai tempi della crisi del Conte uno, dichiaravano che non si poteva andare al voto, perché la Lega avrebbe vinto e il centrodestra avrebbe deciso il successore di Mattarella al Quirinale. I sinistri sono così, trovano democratico governare anche se sono minoranza e rivendicano come naturale il diritto di impedire l'esercizio del potere a chi ha più voti di loro. Poiché chi va con lo zoppo impara a zoppicare, anche i grillini ora la pensano allo stesso modo e non ne fanno mistero. L'unico che pare stupirsi è Salvini, l'uomo accusato da tutti di aspirare a farsi dittatore per aver detto di ambire a pieni poteri dopo regolari elezioni. 

 

«Il governo non censura la repressione a Hong Kong e il regime comunista cinese perché ha la medesima concezione della democrazia che ha Xi Jinping» ha dichiarato il leader leghista, rimproverando ai giallorossi di avere come priorità i giochini di palazzo anziché il lavoro e le famiglie. Più o meno lo stesso sostiene l'altro Matteo, Renzi, vittima sacrificale dell'accordo Pd-M5S, per il quale «l'emergenza della politica deve essere la crescita economica e non la legge elettorale». Entrambi i leader sponsorizzano il sistema maggioritario, il leghista per governare e l'italo-vivente per sopravvivere. 

Non siamo esperti di sistemi elettorali, ma ci pare che in Italia non ci sia mai stato un sistema maggioritario che garantisca a chi vince di decidere e che pure l'attuale ibrido non abbia impedito ribaltoni, assicurando la prosecuzione della legislatura ma non una governabilità efficace, che è la sola che conta. Comunque, stando a uno che invece è molto esperto di leggi, Calderoli, anche questo capitolo della politica è destinato a risolversi in un bla-bla senza costrutto, perché i giallorossi, stando al leghista, non avrebbero i numeri per far passare la legge, visto che né Renzi né gli altri nani del Parlamento sarebbero mai disposti a votare la propria estinzione. 

STRATEGIA E (MOLTA) TATTICA
E allora perché tanto agitarsi? Un pelo di strategia e molta tattica. Normalmente una riforma elettorale segna la fine della legislatura, perché in un certo senso delegittima il Parlamento votato con una normativa ormai bocciata. Ma stavolta essa sarebbe garanzia di durata, soprattutto se passasse in un solo ramo del Parlamento. 

Con il loro esecutivo paralizzato operativamente, i giallorossi avrebbero l'approvazione definitiva della nuova norma come pretesto per non sciogliere le Camere malgrado la loro incapacità di governare. E poi il proporzionale, anche solo paventato, è un'arma di ricatto decisiva nei confronti dell'opposizione e di chiunque, dall'interno, possa minare la stabilità della maggioranza. È partito il gioco dell'estate, in anticipo sul voto per i fondi europei e sul piano di rilancio. Non resta che sperare che sia un segnale che forse il Covid-19 non è più l'emergenza numero uno.

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