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Giuseppe Conte non sarà ministro? Che poltrona alternativa chiederà a Draghi

Elisa Calessi
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È stato lui a decidere che valeva la pena provarci con la Lega. È stato ancora lui a fare un'inversione a "U", dicendo che bisognava allearsi con il "partito di Bibbiano". Sarà ancora a lui, Beppe Grillo, dimostrando un pragmatismo inaspettato, a portare il M5S davanti all'uomo che per anni lui stesso ha rappresentato come il peggio del peggio: «L'alta finanza massonica», come ancora twittava, nostalgico di un tempo ormai lontano, il senatore Elio Lannutti. Alle 12.15 Grillo guiderà la delegazione dei Cinquestelle all'incontro con Mario Draghi. Con lui ci saranno il capo politico reggente, Vito Crimi, per il Senato il capogruppo Ettore Licheri e la vicepresidente Paola Taverna e per la Camera il capogruppo e il vicepresidente vicario, David Crippa e Riccardo Ricciardi. Ieri è arrivato a Roma per cercare di riportare ordine nel caos in cui versano i gruppi pentastellati. Impresa non facile perché si tratta di trovare un punto di equilibrio tra spinte opposte. Si tratta di risolvere l'eterno dilemma che attraversa il M5S: conservare l'anima rinunciando al governo, che è possibilità di cambiare le cose, o governare, vendendosi l'anima? Decisiva, nella scelta di Grillo di arrivare a Roma e prendere in mano personalmente la faccenda, è stata una telefonata con Draghi, avvenuta proprio nella sera della lunghissima assemblea del M5S, quando era un coro di "no" a qualunque governo tecnico. A fare da tramite sarebbe stato il presidente della Camera, Roberto Fico, che aveva incontrato il premier incaricato come da prassi istituzionale.

 

 

 

Due i paletti che verranno posti al premier incaricato: salvaguardia del reddito di cittadinanza e no al Mes. Grillo, però, non è l'unico ad essere arrivato a Roma. Da ieri è nella Capitale anche Davide Casaleggio, che ha fatto sapere di aver «incontrato diversi parlamentari e ministri». Poi ha detto la sua: «Qualunque sarà lo scenario politico possibile c'è ampio consenso sul fatto che l'unico modo per avere una coesione del Movimento 5 stelle sarà quello di chiedere agli iscritti su Rousseau». Un'affermazione, questa, che non è piaciuta a molti parlamentari. «Ma ti pare normale che possiamo andare da Draghi dicendogli: "Scusi, ma dobbiamo aspettare il voto di Rousseau per darle una risposta"?». L'universo grillino, in questi giorni, è diviso in due mondi: Camera e Senato. Soprattutto a Montecitorio, dove sono in tanti al primo mandato, prevale di gran lunga la voglia di sostenere il governo "di alto profilo" che guiderà la ricostruzione del Paese. «Abbiamo detto mai con Renzi, poi ci siamo seduti al tavolo con Renzi. Adesso evitiamo di rifare lo stesso errore con Draghi». Poi ci sono quelli, come Giorgio Trizzino, da sempre convinti della bontà di una soluzione di unità nazionale, e per i quali il voto su Rousseau, in questo momento, non ha senso: «Fermo restando il principio di democrazia diretta in qualunque forma esercitato tradizionalmente nel Movimento questo è un momento particolare in cui i titolari di cariche e responsabilità debbono ragionare, confrontarsi con le altre forze politiche ed orientare le scelte del Movimento nell'interesse degli italiani e dei suoi elettori. Senza pregiudizi e favorendo il confronto interno a tutti i livelli».

 

 

 

Poi c'è l'altra anima del Movimento, più numerosa al Senato, contraria a sostenere il governo Draghi, per i quali il voto su Rousseau è l'ultima scialuppa. Danilo Toninelli per esempio chiede di andare «a vedere cosa ci propone il presidente del Consiglio incaricato. Ma andiamo con la valigia piena di proposte imprescindibili. E, poi, qualunque cosa accada, decidiamo tutti assieme. Con il voto degli iscritti». Della stessa idea è Nicola Morra: «Comunque vada Renzi offre sostegno a prescindere, fideisticamente. Il M5S farà decidere i suoi iscritti». Sta al capo politico, Vito Crimi, decidere se indire o meno la votazione su Rousseau. Ma è evidente che la decisione viene prima. Ed è nelle mani di Grillo. Intanto Conte, sfumata l'idea di fare il partito, sta guardando alla Nato, i cui vertici scadono fra pochi mesi. La stessa poltrona a cui ambisce Matteo Renzi e su cui lui stesso, in uno dei tanti colloqui, lo aveva sondato. Magari gli è tornato in mente, ora che deve lasciare Palazzo Chigi.

 

 

 

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