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Nicola Zingaretti, "il peggior scenario possibile". Salvini nel governo Draghi, il Pd perde il controllo: rovinosa fuga di notizie

Elisa Calessi
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È lo scenario peggiore. Quello che, tramontato il Conte ter e arrivato il ciclone Mario Draghi, nella war room del Nazareno si evocava come l'ipotesi estrema. Ossia un sostegno e nemmeno timido, ma pieno, «senza veti e senza condizioni», della Lega. Quando diventa realtà, il colpo è forte. Partecipare a un governo insieme alla «destra sovranista», condizione che, proprio nell'ultima direzione nazionale, si era escluso con toni apodittici, è un problema grosso come una casa. Per ragioni che sono sotto gli occhi di tutti: Salvini sono i decreti immigrazione, l'antieuropeismo, la flat tax, Salvini è la ragione stessa per cui era nato il Conte 2. Tatticamente, poi, è la terza ritirata nel giro di pochi giorni (dopo «mai più con Renzi» e «avanti con Conte»).

 

 

Naturale che, a caldo, la reazione è di imbarazzo e preoccupazione. Come faremo a spiegarlo? Come faremo a concordare una linea economica, come faremo di fronte ai primi sbarchi? Il premier incaricato ha rassicurato tutti che la sintesi la farà lui. Ma lo sgomento resta. Prima o poi si andrà a votare. La paura è che il prezzo, per il Pd, sarà altissimo. Come fu dopo Monti. Senza contare che crollano i film che in molti si erano fatti su ministeri, caselle, nomi. Subito è apparso chiaro, però, che la strada era tracciata, alternative non ce ne sono. Come qualcuno anche dentro il partito, vedi Stefano Ceccanti, aveva provato a dire subito dopo il discorso di Sergio Mattarella, era uno scenario, quello del sostegno della Lega, non sono contemplato, ma auspicato dal presidente della Repubblica che, non a caso, ha conferito a Draghi un mandato che prescinde da una «formula politica», orientato, quindi, alla formazione di una base parlamentare il più possibile ampia.


 

 

Ursula addio - Il Pd sperava con tutte le sue forze in una maggioranza Ursula: l'ingresso di Forza Italia averebbe allargato la maggioranza, ma avrebbe avuto una giustificazione europea. Oltretutto avrebbe spaccato il centrodestra. Non sarà così. E la conversione leghista rischia, peraltro, di avere l'effetto opposto: ingrandire l'area moderata del centrodestra e schiacciare il Pd a sinistra, non avendo più un «nemico» sovranista contro cui gridare. Il colpo è tale che, lì per lì, nei minuti dopo l'annuncio del leader del Carroccio, gira persino voce che il Pd stia valutando l'appoggio esterno, tanto è considerato complicato un governo con la Lega. Ma la mossa sarebbe un affronto innanzitutto al presidente Mattarella. Infatti, poco dopo, viene smentita con nota ufficiale: «Sono totalmente infondate le notizie su orientamenti assunti su eventuale appoggio esterno al governo. La posizione del Pd è stata votata dalla direzione nazionale all'unanimità e illustrata ieri al professor Draghi».

 

 

 

Cambio di linea - Dolorosamente, ma con la determinazione delle scelte obbligate, si sposta la nuova linea Maginot. Ma c'è una prima conseguenza. Non potrà essere un governo con ministri politici, almeno non come si intendeva prima. Non potranno esserci i big, né tantomeno ministri che già erano stati nel Conte 2. Più realistico pensare a una prevalenza di ministri tecnici, magari alcuni di area. Ma c'è anche chi non esclude del tutto la possibilità di ministri politici, a patto siano personalità che non abbiano ricoperto incarichi nell'ultimo esecutivo. Piuttosto si pensa a un ruolo a questo punto più politico dei sottosegretari, che potrebbero fare da raccordo con il Parlamento, Sfuma, invece, l'ipotesi che possano entrare i leader, almeno nei ragionamenti del Nazareno. Il corpaccione dem, però, ribolle. E le varie anime tornano a dividersi. «Io penso», dice Pierfrancesco Majorino, europarlamentare, «che si debba dire di no a Salvini, che si debba cercare di evitare questo abbraccio mortale». Da Base Riformista, gli ex renziani, si fa sapere, invece, che «l'appoggio esterno non esiste». Il governo di tutti, spiega a Libero Enrico Borghi, anche lui di Base Riformista, «è la formula che ha chiesto il presidente. Se Salvini diventa europeista, bene. Ovvio che si tratta di misurare la qualità della conversione. Ma guai a cadere nel tranello "Salvini sì, Salvini no"». Il vicesegretario Andrea Orlando, invece, ancora non si capacita e ironizza: «Un primo effetto l'incarico a Draghi l'ha avuto. Salvini è diventato europeista in 24 ore». E scettica è Debora Serracchiani: «Vedremo se la sua conversione sarà sincera e duratura, o tattica e condizionata». Con un tweet, interviene Graziano Delrio, spazzando via scetticismi e ironie: «Per il Pd l'interesse del Paese è la bussola. Occorre sconfiggere l'emergenza sanitaria, sociale ed economica. Per questo sosteniamo lo sforzo di Draghi con convinzione piena e assoluta collaborazione». Punto e a capo.

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