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Pierpaolo Sileri a Senaldi: "Riapriamo, e a giugno torneremo a vivere davvero". Covid, l'unico che Draghi non deve sostituire

Pietro Senaldi
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«Io sono un ibrido». Che l'esecutivo di Mario Draghi sia tecnico oppure politico, il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, grillino quasi per caso e chirurgo di alto livello per professione, sta a posto, come dicono nella sua Roma. Nella trimurti di governo dedicata alla Sanità del defunto Conte, il senatore pentastellato è il solo medico; per di più, ha annunciato da tempo che, quando questa legislatura finirà, tornerà in ospedale, emigrerà al Nord, al San Raffaele di Milano dove lavora anche il noto Alberto Zangrillo, uno dei camici bianchi più divisivi della pandemia. Sileri è stato due volte in Cina, tra febbraio e marzo dello scorso anno ed è nella compagine politica di governo il solo che ha esperienza sul campo. È medico di corsia e sala operatoria, e pertanto conosce i malati meglio dei burocrati che siedono nel Comitato Tecnico Scientifico. Se il nuovo premier non lo confermasse al suo posto, farebbe una stupidaggine. L'interessato non vuol sfiorare neppure l'argomento; ostenta un distacco tantrico dai calcoli del Palazzo. Questo però non gli impedisce di affermare che il governo di SuperMario «dev' essere politico».

 

 

 

Ma dottor Sileri, un medico alla Salute, con il Covid imperante, non ci starebbe come il cacio sui maccheroni?  
«E quale medico? Un virologo, un immunologo, un esperto in economia sanitaria, un direttore generale? Se si inizia con questo ragionamento, non se ne esce più».
Faccia lei, agli italiani penso basterebbe qualcuno che ci capisca.
«Il punto principale non è se il ministro è un medico o no, ma che tutta la sanità pubblica sia gestita con i criteri del merito e della trasparenza, dal centro fino alla periferia. Il che non è».
Meglio un politico piuttosto che un medico che faccia politica in ospedale quindi?
«Io ho sempre detto che la politica, nel senso degli accordi e del ragionare da politico deve restare fuori dalla sanità pubblica. Quello della Salute dovrebbe essere il ministero meno politico che c'è e auspico che la sua struttura cambi radicalmente».
Cosa non funziona oggi?
«Io, da medico, so che tutte le decisioni che firmo al ministero hanno come punto di arrivo il letto di un ospedale, la sofferenza di un malato. In troppi nell'amministrazione sanitaria non hanno questo sguardo».
Se Draghi la chiamasse per chiederle un consiglio su come rappezzare la Sanità italiana, lei cosa gli direbbe?
«Gli direi che servono dieci miliardi in quattro anni per cambiare il paradigma dell'assistenza sanitaria agli anziani».
Eccolo lì, batte cassa, altri soldi da spendere.
«Guardi che l'investimento nell'assistenza a domicilio consentirebbe di ridurre del 40% le spese attuali nella cura degli anziani. Si potrebbero risparmiare otto miliardi l'anno se risolviamo i problemi delle residenze per anziani».
Cosa ha in mente?
«Assistenza a domicilio, telemedicina, consegna dei farmaci a casa, più medicina del territorio».
E poi?
«Ma Draghi non è Aladino, che se sfreghi la lampada ti realizza tre desideri».
No, però il denaro del Mes per la sanità dovremmo pure impiegarlo in qualche cosa.
«Io non credo siano indispensabili i 37 miliardi dell'eventuale prestito sanitario che ci concederebbe l'Europa. Il ministro dell'Economia Gualtieri sostiene non ci sia un problema di liquidità e il Mes mi pare un detonatore di litigi politici, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora».



 

E allora, visto che non ci sono problemi economici, sfreghiamo la lampada: cos' altro suggerisce al governatore?
«Aumentare il numero dei medici».
Eliminare il numero chiuso all'università?
«Le barriere all'ingresso sono state già allentate. L'imbuto formativo è nell'accesso alle scuole di specializzazione: ci sono meno posti rispetto alle necessità e questo danneggia la qualità del servizio pubblico, perché i medici sono gravati di lavoro».
E siamo al terzo desiderio.
«L'istituzione di una camera di compensazione che riduca il contenzioso medico legale».
Alt. Siamo al conflitto d'interessi, dottore?
«Oggi il 95% delle cause penali contro i medici viene archiviato. L'eccesso di contenzioso legale, spesso inutile come dimostrano i dati, comporta che, per difendersi, gli ospedali prescrivano una serie di esami costosi e inutili, fatti solo per tutelare i medici in una eventuale sede di giudizio. Questo ha un costo sulle casse pubbliche di oltre cinque miliardi l'anno, ma può arrivare anche a 7 miliardi. Non a caso, in commissione Sanità io proposi di introdurre l'arbitrato medico-legale. Strumento essenziale per andare incontro ai pazienti che hanno avuto un danno, ma anche per ristabilire quel rapporto fiduciario che spesso appare perso». 
Ma a lei piace il governo Draghi?
«E come faccio a dirlo? Ancora non c'è. Al momento abbiamo un vero fuoriclasse senza squadra, programma e calendario».

 


Da tre mesi la politica si è fermata, in attesa della deflagrazione del governo Conte, innescata dal dinamitardo Renzi, ma Pierpaolo Sileri nella sua spartana stanza nella periferia di Trastevere prosegue nel lavoro come se nulla fosse, indifferente a cosa uscirà dal cappello di Draghi e alla propria sorte. Di tutti i palazzi ministeriali romani, quello che ospita il dicastero della Salute è di gran lunga il più brutto e il meno imponente, pare il solo dove ci sia stata una vera spending-review; il che la dice lunga su quanto sia considerata la sanità nel nostro Paese. Il viceministro la vede così: «Comunque andrà, sul fronte pandemia Draghi si ritrova un lavoro impostato. La vaccinazione è partita e i 21 parametri che organizzano l'apertura e la chiusura delle Regioni, dopo un avvio incerto, stanno funzionando. Certo c'è spazio per miglioramenti».
Se ne va Conte e l'Italia riapre: è un caso?
«Stiamo riaprendo perché si sono create le condizioni per farlo. Sono decisioni che non c'entrano nulla con la sorte del governo. Stiamo facendo un passo secondo la gamba».
Se la sente di dire che il peggio è alle spalle?
«La situazione non è stabilizzata ma ci sono elementi che mi fanno dire che abbiamo scavallato».
Cosa la conforta fino a questo punto?
«Entro marzo avremo vaccinato quasi tutti gli ottantenni, che costituiscono la stragrande maggioranza dei decessi da virus. Se metti in sicurezza le categorie più fragili, automaticamente si svuotano gli ospedali ed è più facile assistere i malati. In più, come dimostra l'andamento dell'epidemia nelle province di Bergamo e Brescia, in certe zone sta maturando una certa protezione di gregge. Infine bisogna fare i complimenti agli italiani, che hanno imparato a convivere con il virus e a difendersi da esso: portano la mascherina, non si assembrano, si lavano le mani. Se possiamo permetterci qualche riapertura è perché è cresciuto il capitale civico degli italiani».
Però continuano a morire centinaia di persone al giorno.
«Si tratta però di individui anziani o malati, categorie che presto saranno vaccinate e non si ammaleranno».
Quando potremo tornare a vivere normalmente?
«Spero da giugno. I vaccini sono essenziali. Guardi Israele, dove la profilassi di massa ha praticamente azzerato i decessi».
Non ci sarà una terza ondata?
«La terza ondata ci sarà sicuramente, perché le riaperture comportano un inevitabile aumento dei contagi. Ma penso che non sarà come la seconda e che riusciremo a controllarla senza dover ricorrere a nuove improvvise chiusure, proprio perché le persone fragili non si ammaleranno».
Ma i giovani continueranno ad ammalarsi.
«Sì, ma sempre meno, perché il virus girerà meno. Se si ammalano i giovani e i sani poi, il problema non è così grave perché solo in rarissimi casi il virus li uccide o li colpisce in modo drammatico».
Cosa è giusto riaprire?
«Io è dal 5 ottobre che dico che ristoranti e bar possono riaprire in sicurezza. Anche i cinema e i teatri, con meno posti e distanziamento potrebbero farlo. Ovviamente sempre nel rispetto delle regole e sempre pronti ad un passo indietro se necessario».
Non è un rischio?
«Lo è, ma calcolato. Per quanto riguarda le palestre invece aspetterei, è più difficile aprirle in sicurezza».
Il professor Remuzzi ha detto, inizialmente a Libero e poi in tv, che a Bergamo lui applica una cura che ha azzerato i decessi: ai primi sintomi somministra aspirina e nimesulide, anche se non è ancora stato fatto il tampone. La fonte è autorevole, i risultati ci sono: perché non la protocollate e guarite l'Italia?
«Lo Spallanzani ha in questi giorni approvato il protocollo di Remuzzi, che presto potrà essere utilizzato come linea guida».
Perché abbiamo perso così tanto tempo?
«Non è tempo perso. Servono una casistica e verifiche ufficiali per promuovere una pratica ospedaliera, per quanto applicata da una massima autorità scientifica come Remuzzi, a protocollo nazionale. Sono state sperimentate sul campo tante terapie anti-Covid in Italia, ma alcune si sono perfino rivelate controproducenti».
Cosa la rende scettico nella cura Remuzzi?
«Non sono scettico. Gli antinfiammatori di Remuzzi fanno bene e se poi si scopre che uno non ha il Covid, ne curano comunque l'influenza, di cui il Corona ha gli stessi sintomi. Però il protocollo Remuzzi per essere applicato necessita un robusto rafforzamento della medicina del territorio, perché implica un monitoraggio a distanza del paziente che non sempre è possibile in Italia oggi. Non dobbiamo dimenticare che ogni malato ha una reazione diversa alla stessa cura».
Remuzzi dice anche che l'Italia in un mese può produrre vaccini.
«I vaccini non li producono gli Stati, ma le aziende. I governi possono solo agevolarle».
Perché non le agevoliamo?
«L'Italia è la prima produttrice di farmaci in Europa. Possiamo aiutare le aziende, ma vorrei ricordare che esse producono per conto terzi. L'Europa, che stabilisce la distribuzione dei vaccini per l'Italia, deve dialogare con le aziende e fare una mappa, dopo di che noi possiamo agevolarle».
Non è che su vaccini e cura Remuzzi sta prevalendo il suo ibrido politico sull'ibrido medico?
«La gestione della pandemia è una mediazione tra la politica e la sanità. Quando spingo per le aperture prevale in me il medico, che conoscendo il virus ne ha meno paura dei politici. Contrariamente a quanto si crede, il governo ha spinto per la chiusura più dei medici».
Quindi non è vero che abbiamo subito una dittatura sanitaria?
«Parlare di dittatura sanitaria è una scemenza. Sicuramente la scienza ha avuto un ruolo preminente nella terapia, ma chiusure e vaccinazione sono state gestite dalla politica».
Allora la politica si è fatta scudo degli scienziati per far digerire ai cittadini scelte impopolari ma fatte dal governo?
«Il potere esecutivo non è nelle mani dell'Istituto Superiore di Sanità né del Comitato Tecnico Scientifico».
Cosa avete sbagliato?
«Ci sono state carenze comunicative, anche nella divisione dell'Italia in zone di colori diverse. Non è stata spiegata bene, eppure è stata decisiva per far calare i contagi. C'è stata molta confusione poi, prima del lockdown e subito dopo; ma mentre quella di un anno fa era giustificabile con la scarsa conoscenza del virus, quella dell'estate scorsa è meno giustificabile e ha ragioni non sempre comprensibili». 

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