Cerca
Logo
Cerca
+

Raffaele Morelli contro il reddito di cittadinanza: "Ecco perché atrofizza il cervello"

Francesco Specchia
  • a
  • a
  • a

In una sorta di via di mezzo tra l'oplita spartano, il colonnello asburgico e il muratore bergamasco, Raffaele Morelli mostra oggi un'educazione familiare rigorosa e un insospettato culto del lavoro. Milanese, classe '48, coscienza di massa della tv, il noto psichiatra e direttore di Riza Psicosomatica ha preso per la prima volta una decisa posizione politica sul Reddito di cittadinanza iattura invincibile e altri racconti del nostro welfare. Il che stranizza assai.

Professor Morelli, escono i dati Istat sul Reddito di cittadinanza ed ecco che lei, nel talk show di Nicola Porro su Rete 4, sguaina lo spadone contro la misura che doveva abolire la povertà. Perché?

«Perché la politica per i giovani non ha fatto nulla. Il reddito di cittadinanza è stata una cosa gravissima e non ne parlo in termini politici. L'idea che quel reddito non sia stato dato alle aziende per dire "io ti pago ma vieni lavorare". Nella vita la cosa più importante è il lavoro, è nel lavoro che si radica il cervello. Oggi i nostri giovani temono la fatica, il giudizio e l'autorità. In tv citavo una ricerca americana sul baco da seta, dal cui buco, piano piano, esce la farfalla; se allarghi di forza il buco la farfalla esce lo stesso ma non riesce a volare».

Le farfalle non votano 5 Stelle. In soldoni lei ritiene che il reddito di cittadinanza per i giovani ( pure se è percepito soprattutto dai 45/67enni) abbia delle conseguenze psicologiche?

«Visto adesso, così, il reddito di cittadinanza è una grave malattia sociale che va a riflettersi sulle nuove generazioni. Ho ricevuto molte lettere di genitori per questa mia frase; il 90% era d'accordo con me. Così, invece, con i soldi facili, ti tolgono tre elementi fondamentali per la crescita: la fatica, il giudizio e l'impegno. Lavorare, rendersi indipendenti, dire "ce l'ho fatta da solo": non solo aiuta a crescere ma a riattivare meccanismi neurologici, a riaccendere alcune aree cerebrali come i centri dell'appagamento».

 

 

 

 

E questa situazione ha a che vedere con quella ricerca scientifica che attesta che le generazioni di oggi sarebbero in media meno intelligenti e ricettive delle precedenti?

«Be', non è un caso che i ragazzi oggi soffrano di dispersione, si sono persi alcuni stimoli fondamentali come la manualità: di un bambino fogli e matite e non smetterà di disegnare. L'intelligenza è come il muscolo dell'atleta: deve essere allenato sempre. E poi l'abitudine è il peggior nemico della mente, il reddito di cittadinanza porta all'atrofia del cervello, ti confina in un limbo. Il Rdc è costato 10 miliardi, quota 100 altri 10 e 10 pure gli 80 euro di Renzi: basta un economista da strapazzo per capire che la maggior parte del dei 248 miliardi del Recovery è in prestito. E per intuire che stiamo indebitando i nostri figli».

Questo, però è un giudizio politico.

«Be', lo Stato deve capire, deve essere educatore, non bastano due navigator precari, privi di competenze; in Germania quelle figure sono completamente diverse, sono professionisti formati che ti chiamano a casa, ti intervistano, ti sottopongono a stress test per verificare accuratamente le tue attitudini».

Adesso mi dirà che la deriva del Rdc incide anche sulla qualità del lavoro. Ma scusi la vulgata, oggi, è ottimista: Draghi non sta forse puntando proprio sui giovani? Non calano forse i "neet", i ragazzi che non studiano né cercano lavoro?

«Sì. Draghi, ci sta puntando. Le sue politiche per i giovani sono ottime, ti spingono a fare più figli e renderli risorsa economica. E, ci faccia caso, se introduci in un gruppo l'allegria, la frenesia di un giovane, cambiano le dinamiche dei rapporti di lavoro, tutto si velocizza. Guardi la campagna vaccinale. Coi vecchi si rallenta, pensano, dubitano. Per i giovani il gusto del primo stipendio è imprescindibile. Però, finora, noi abbiamo involontariamente alimentato il conflitto vecchi/ giovani. Invece i vecchi devono accompagnare i giovani nel mercato del lavoro con delle politiche attive efficaci. Briatore, l'altra sera sempre da Porro si lamentava di non riuscire ad assumere camerieri italiani seppur con lauti stipendi. Ha ragione nel dire che manca anche il senso del sacrificio. Tra l'altro quando finirà il Rdc (che pare sia a tempo) questo alimenterà la rabbia sociale per quello che la gente ritiene la perdita di un diritto acquisi to».

 

 

 

 

Andiamo bene. D'accordo i giovani, ma lei descrive una società un tantino distopica. I vecchi sono davvero così socialmente letali?

«Ma no. Di contro, tra i giovani sono aumentate, con la pandemia, le malattie psichiatriche, i suicidi e le fughe di casa. L'ansia, l'idea di un mondo interiore prigioniero che vuole percorrere altre strade ha devastato i ragazzi. Invece i vecchi, col Covid, sono rocce, ancorati alle loro certezze e alle loro abitudini. D'altronde ognuno ha il proprio ruolo, segue la sua natura; il vecchio Jung diceva che una tigre vegetariana è sempre una pessima tigre».

Lei ha detto che "più dell'amore conta il lavoro". Cosa intendeva?

«Ripeto: il lavoro è il vero motore. Io so solo che senza il lavoro dei giovani non ci saranno le pensioni dei vecchi, e la ripresa non potrà essere durevole. È banale, ma senza il lavoro nessuno è realizzato. In casa mia siamo cresciuti con la consapevolezza che il portare a casa la pagnotta era importante per tutti».

I suoi figli lavorano in Italia o li ha fatti emigrare all'estero? Sente, in questo, di essere stato un buon padre?

«I miei figli hanno 32,28 e 40 anni. Uno ha studiato antropologia alla Sorbona, l'altro regia a Londra e la prima si occupa di bambini e adolescenti; sono rientrati e lavorano tutti in Italia. Il metodo migliore per essere genitori è agire d'impulso, non porsi mai il problema di come essere buoni genitori. E ci deve essere anche il concetto d'autorità da rispettare, il padre fa il padre. Mi ricordo quando, cinquant' anni fa, mia madre ci diceva: ragazzi state zitti che papà deve riposare...».

Psicologicamente gli italiani stanno uscendo dalla crisi o non si vede ancora la luce in fondo al tunnel?

«Guardi, la gente, specie i più anziani, ha ancora paura. Eppure io credo nelle riforme, dalle più urgenti come la Giustizia (pensi al caso di Ciro Grillo: ci vorranno almeno 2 anni e mezzo per il processo: un'attesa terribile sia per i colpevoli che per gli innocenti, che, nel frattempo, possono tranquillamente mutare il profilo psicologico). O come, banalmente, il business degli esami di Stato degli ordini professionali, che esistono solo da noi. Ora, per avere i soldi del Recovery li elimineranno; e c'è già chi si lamenta perché perde il gettone in commissione...».

 

 

Dai blog