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Reddito di cittadinanza nel mirino, ecco come va cambiato per piacere anche ai liberali

Corrado Ocone
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Con indubbia scaltrezza politica, Mario Draghi, alla domanda specifica di un giornalista in conferenza stampa, ha detto ieri di non potersi pronunciare ancora sulle sorti del reddito di cittadinanza ma che comunque ne condivide «in pieno il concetto». Ovviamente, le forze politiche, le favorevoli (a cominciare dai grillini che lo hanno introdotto in Italia) come le contrarie, potranno tirare ognuna i remi dalla propria parte, ricalcando l'una piuttosto che l'altra parte del discorso del presidente del consiglio.

Il fatto stesso però che Draghi abbia invitato a porre il discorso anche su un piano concettuale, impone un supplemento di riflessione, soprattutto per i liberali che apparentemente sembrerebbero essere quelli chiamati direttamente in causa e quasi provocati. È indubbio, infatti, che l'etica liberale leghi il reddito, e in genere ogni onore e gloria, al lavoro dell'individuo inteso come sacrificio, responsabilità, capacità di visione e innovazione, voglia di rischiare. Il mercato, in quest' ottica, dovrebbe essere null'altro che un certificatore dei meriti acquisiti e un dispensatore dei benefici ad essi legati ed intesi come giusto premio alle capacità dimostrate. In questo senso, quasi per istinto, il liberale avverte nell'intervento dello Stato in queste faccende, come è stato detto, «il pericolo dell'arbitrio, del predominio dei politicanti ed il vantaggio degli inetti e degli infingardi». Che non si tratti di una semplice sensazione, ma di qualcosa di molto concreto, lo possiamo verificare ogni giorno, ad esempio parlando con ristoratori che non trovano personale o compulsando le statistiche che ci dicono che cresce sempre più la percentuale di coloro che usufruendo dell'assegno statale un lavoro nemmeno più lo cercano.

 

 

 

Tuttavia, la faccenda si complica alquanto se seguiamo i ragionamenti di Friedrich von Hayek, sicuramente uno dei più importanti pensatori liberali novecenteschi, lontano fra l'altro da ogni commistione del suo pensiero con idee "socialiste". Con nostra somma sorpresa, scopriamo che il grande pensatore austriaco, che di tutto può essere accusato ma non di essere un protogrillino, era un convinto e acceso fautore del reddito di cittadinanza. Ecco le sue parole, che risalgono a metà degli anni Settanta: «Non vi è motivo per cui in una società libera lo Stato non debba assicurare a tutti la protezione contro la miseria sotto forma di un reddito minimo garantito, odi un livello sotto il quale nessuno scenda. Se tale reddito minimo uniforme è fornito fuori dal mercato a tutti coloro che, per qualsiasi ragione, non sono in grado di guadagnare sul mercato un reddito adeguato, ciò non porta a una restrizione della libertà, o a un conflitto col primato del diritto».

Come possiamo spiegarci questa sorprendente affermazione? Chiaramente, la chiave del discorso è in quel "fuori dal mercato". Lo Stato cioè, per un liberale, deve proteggere i più deboli, non può abbandonarli a loro stessi: sarebbe immorale. D'altronde, quella che vuole il capitalista come un uomo egoista e gretto, tutto centrato sulla soddisfazione dei propri interessi materiali, è poco più che una macchietta o un arma propagandistica dei comunisti. Ugualmente immorale sarebbe però se il gioco del mercato fosse falsato a tal punto da far sì che i "deboli" divengano i nuovi forti e sottraggano risorse a chi onestamente se le è guadagnate. E, in fin dei conti, demotivando i ben disposti, alla stessa società. Che è un po' quello che sta avvenendo in Italia.

 

 

 

In un passo successivo, Hayek approva molto l'attività filantropica, che oggi chiameremmo del "terzo settore", e auspica che lo Stato possa agevolarla in tutti i modi. Ad esempio, possiamo aggiungere noi, con opportune detrazioni fiscali. È questa la via maestra da seguire: è un classico intervento ex post della società. Ad esso se ne può certo aggiungere uno ex ante, cioè fatto direttamente dallo Stato, ma esso lo si deve legare in modo non superficiale a un effettivo controllo dei benificiari e ad una politica attiva che permetta, a chi non lo abbia, di trovarsi un lavoro. Il quale, che sia nelle forme classiche o in quelle della nostra società postindustriale, è un valore in sé, come ci ricorda sin dal primo articolo la Costituzione. È un lavoro politico e culturale non facile, ma è anche su questo che si misurerà la capacità di questo governo.

 

 

 

 

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