Cerca
Logo
Cerca
+

Silvio Berlusconi, Renato Farina e il retroscena sulle lacrime segrete: "Mi sento responsabile"

Silvio Berlusconi  

Renato Farina
  • a
  • a
  • a

Oggi il Cavaliere compie 85 anni, e non c'è italiano che non creda di sapere di lui il necessario e pure il superfluo. Trafiggerlo o celebrarlo sono perciò entrambi esercizi inutili. Ogni connazionale che abbia più di 18 anni ha già dipinto e rifinito dentro di sé il suo personalissimo ritratto di Silvio Berlusconi. Lo ha lì sigillato, non ammette altre pennellate. Lo crede personalissimo ma in realtà vi rimbomba l'eco della propaganda, che anche quando tratta bene il nostro eroe lo concia come un cartone animato, un corpo sorridente, un ego prepotente. Nel male o nel bene: questo dipende dalla testa di ciascuno. A proposito di testa, e prima di svuotare la mia di qualche forte ricordo e modesto pensiero, comincerei da quella del Berlusca. Qualunque cosa dica oggi, in risposta ai mille auguri, a proposito di felicità familiare, di figli e nipoti, indicati come festoso bilancio insieme a tanti successi e persecuzioni, ed oltre 200 milioni di voti raccolti negli anni (lo dirà, si nutre sempre di questa verità), dentro di sé un pensierino si affaccerà: mi trattano come una salma da mausoleo, ma il bello deve ancora venire. Ma certo che Silvio, dal cuore tribolato dal Covid, crede alla possibilità di essere eletto presidente della Repubblica. Forse per questo il tribunale di Milano esigeva la perizia psichiatrica. Non capiscono che Berlusconi è bravo a realizzare solo le cose impossibili e folli. Devo fare l'elenco?

 

 

L'ascesa al Colle siccome è impossibile, è possibile: questa è stata la legge che, spaccando la logica aristotelica, tiene insieme la sua vita. Rinunciare alla mèta sarebbe morire, e morire non è in agenda. Alt. Non è questo l'articolo dove analizzare il livello delle chances (ne ha già scritto il direttore Sallusti). Qui dico che, se accadesse, forse saremmo davvero dentro una favola. Ma mi dicono che è in vigore la cancel culture persino dei sogni fanciulleschi. Fanciullo, bambino. Questo è sempre stato Berlusconi, anche nella maturità. I bambini amati sono convinti di essere onnipotenti. Ogni volta partono per l'avventura, sapendo di essere alla pari degli altri, non si mettono sopra o sotto. Alcuni bambini vincono la cuccagna, e lui sempre. Berlusconi è stato ed è un bambino che afferrata la cuccagna distribuisce le caramelle agli altri. Si sente senza peccato. Non lo ritiene un merito, semplicemente è così. Ne ho avuto la prova nel periodo in cui ho vissuto alcuni mesi intensamente al suo fianco.

Nel 1999 sul Giornale avevo condotto una campagna per tirare fuori dal carcere una splendida donna somala, a nome Sharifa, vestita di azzurro, accusata ingiustamente dalla procura di Milano di commerciare bambini. Erano invece suoi figli e li voleva salvare dal genocidio. Era stata arrestata all'aeroporto in Transito per Londra. Pareva impossibile ricongiungerla alle sue creature e poi - figuriamoci - trovare asilo Oltre Manica. Tutto era contro. Ostava tutto: le assistenti sociali, i pm, poi il trattato di Dublino, la rigidezza inglese, ed era pure all'opposizione. Fu una battaglia stupenda, e vinta. Ed ecco, a partita incerta, nel colmo della notte, mi telefonò. Aveva trovato il modo di sistemare a Monza, Sharifa e i due bimbi, Prima tappa, diceva. Ero colpitissimo dalla sua energia e dalla volontà gratuita di far del bene. Gli dissi citando Manzoni: «Dio perdona molte cose per un'opera di misericordia». Risposta: «Ma io non ha niente da farmi perdonare, ho soltanto lavorato». Nessuna vanteria, lui è così.

 

 

CUORE D'ORO
Sharifa fu investita da un'auto a ridosso del Parco di Monza. Era gravissima. Il presidente volle andare con me a trovare i bambini al residence, con palloni e orologi del Milan, una mancia, poi all'ospedale. Ho visto in funzione la testa napoleonica di Berlusconi. Eccoci nella cameretta di Sharifa. Berlusconi le regalò (a un'islamica!) un San Cristoforo d'oro che, disse, «tiene lontane le sventure automobilistiche». Silvio si commosse per il grazie della donna e la sua preghiera. Le chiese: «Cosa posso fare per lei?». «Voglio andare a Londra da mia sorella». «La porterà Renato con il mio aereo, promesso». (Ci riuscì nel dicembre). Dopo un momento, Abdul, 11 anni, il maschio di Sharifa, che aveva assorbito in pochi mesi l'italiano con accento brianzolo, gli disse: «Ma ci porti davvero... con il... tuo aereo?». Silvio, mettendosi alla stessa altezza di Abdul, sollevò il mento: «Certo». Abdul: «Perché tu c'hai l'aereo?». Silvio indicando con l'indice il petto: «Uhei, io ho lavorato tutta la vita».

Lo diceva con il tono di chi condivide il pallone con i compagni, da pari a pari con un ragazzino profugo. Non sotto, non sopra, da bamnbino a bambino. Forse da padre a figlio. Forza che ce la fai anche tu e avrai l'aereo come me. Ospitò poi Sharifa nella sua camera da letto a Palazzo Grazioli in Roma, la accompagnai dentro questa stanza nuziale damascata, vi si accomodò come una regina, perché era una regina per Silvio. Il quale fece in modo che D'Alema e Blair si mettessero d'accordo per darle asilo nel Regno Unito, e portò Sharifa e la sua nidiata con il suo aereo più bello, quello con le maniglie d'oro, nella capitale britannica. In seguito, per parecchi anni su suo mandatomi sono recato a Londra, con Maryan Ismail, Questo ha sempre cercato di fare il Cavaliere. Nella vita imprenditoriale ci è riuscito. Al governo ci ha provato. Esiti? Fifty fifty. Anche dopo il 2001 e le Torri Gemelle ha cercato di salvare il salvabile, cercando di fermare le guerre di Bush, correndo da Putin, radunando tutti a Pratica di Mare. E lottando e (quasi) sempre vincendo il cinismo che si impossessa degli uomini al potere. Ad esempio.

 

 

LO STRAZIO IRACHENO
Mi volle vedere subito dopo Nassiriya (12 novembre 2003), e mi confessò: «Quando penso ai 19 caduti mi dico: se invece di essere io al governo ci fosse stato D'Alema, non li avrebbe mandati in Iraq e sarebbero vivi. Mi sento responsabile. I morti li sento parte di me. Vorrei essere stato con loro». Aveva gli occhi lucidi nella quiete notturna di Arcore. Poi però - eterna è la lotta dell'uomo in sé stesso - quando in diretta mostrarono il linciaggio del suo amico Gheddafi, ero al suo fianco in una riunione alla camera e mi aspettavo dicesse quello che il suo volto esprimeva, cioè: «Sono costernato, non doveva finire così». Invece trinciò quattro parole di infinita distanza non solo dall'antico alleato beduino ma da sé stessa, dal suo essere bambino, e disse: «Sic transit gloria mundi». Lì per allontanare dalla sua nuca il morso di Sarkozy, della Merkel e di Napolitano recitò un'altra parte. Invano. Berlusconi, lo giuro, non è così. C'è un cattivo verso del grande Giorgio Gaber (talvolta Omero dorme) che è tuttora sventolato come un sudario di morte sulla reputazione dell'anziano signore di Arcore. Dice:«Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me». Come se fosse una malattia, un virus che deforma il cuore. Falso. Non è una bestia colui che compie 85 anni oggi. Non è un mostro, un cartone animato, e neppure un super-uomo, forse è un super-gatto avendo già avuto molte più di nove vite ed è di certo dotato di stivali delle sette leghe. Con tutto questo è un uomo da ammirare e da volergli bene. Una brava persona. Un uomo normale? Questo non direi.

 

Dai blog