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Gianfranco Fini, dopo gli scontri a Roma dà lezioni a Giorgia Meloni: "Ecco perché mi chiamavano traditore"

 Fini e Meloni

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Non parla da quattro anni Gianfranco Fini e non lo farà adesso ma ai suoi fedelissimi, riporta La Stampa in un retroscena, ha confidato come la pensa su Giorgia Meloni: "La penso esattamente come la pensavo ai tempi della svolta di Fiuggi a proposito del fascismo e dell'antifascismo come momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che erano stati conculcati". Fini ricorda quindi lo scontro con i nostalgici nello storico congresso di scioglimento dell'Msi a Fiuggi nel 1995: "Non a caso ero considerato in quegli ambienti il traditore per antonomasia".

 

 

Una rottura con il passato radicale tanto che oggi Fini ragiona sul possibile scioglimento di Forza Nuova. E seppur smentendo la fake news che gli attribuiva la sottoscrizione di una mozione Change.org che contro l'organizzazione neo-fascista, l'ex leader di An sostiene che condividerebbe un provvedimento di questo tipo. "In realtà il governo può intervenire subito, ope legis, anche senza un'iniziativa parlamentare. È già accaduto nel passato, sia pure in circostanze diverse, nei confronti di Ordine Nuovo e di Avanguardia nazionale".

 

 

Quindi torna sullo scioglimento dell'Msi: "Nel gennaio del 1995, al congresso di Fiuggi, io fui agevolato da Rauti e Pisanò che si portarono dietro tutti coloro che avevano avversato la nascita di An e la sua carta d'intenti". Ma dopo la svolta "anti-fascista" di Fiuggi Pino Rauti, principale ideologo del movimentismo di estrema destra, e Giorgio Pisanò, repubblichino mai pentito, rifondarono ancora una volta la Fiamma missina e nel 1996 proprio loro furono decisivi in 49 collegi marginali per fare perdere il centrodestra. Allora Rauti commentò: "Se Prodi ha vinto, lo deve a noi". 

 

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