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Mario Draghi, la bomba di Dagospia: "Restare premier o dimettersi?", tutto in sette giorni

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Si è "rotto i coj***i", Mario Draghi. O almeno così assicura il pepatissimo retroscena di Dagospia, alla vigilia della settimana decisiva del premier. L'ex presidente della Bce sarebbe incerto: "Restare alla guida del governo o dimettersi". "Ogni minuto, un casotto. Ogni giorno, una sceneggiata. Ogni settimana, un rospo da ingoiare", elenca Dago, secondo cui Draghi sarebbe infastidito dal caos del centrodestra, dalle lentezze burocratiche dentro al governo (che ha portato all'invio in ritardo a Bruxelles della bozza di manovra), dalle posizioni filo-polacche della Lega in Europa, dal rebus Forza Italia. Il dubbio su Salvini rischia di diventare anche quello su Berlusconi: Lega e FI sarannno "di lotta o di governo?".  

 

 

 

 

 

 

A irritare il premier però anche la gestione del dossier Pnrr da parte del suo sottosegretario Roberto Garofoli, che "sta accusando preoccupanti inefficienze e ritardi". Draghi starebbe pensando a un cambio in corsa promuovendo "il suo consigliere giuridico Marco D’Alberti, considerato 'fratello minore' di Sabino Cassese".

 

 

 

 

 

 

Sul banco degli imputati anche tre ministri tecnici, Colao, Cingolani e Giovannini, Quest'ultimo sarà convocato a Palazzo Chigi, "continua a rilasciare interviste sui massimi sistemi ma non è stato ancora insediato il comitato speciale del Consiglio dei lavori pubblici (29 membri), indispensabile per l'approvazione dei progetti connessi al PNRR (oltre alla mancata individuazione di un amministratore delegato per Anas)", nota Dagospia. Per questo Giovannini "rischia di essere commissariato da qualche uomo di Draghi".

C'è infine la bomba Mps, tutta di marca Pd. "Il responsabile del naufragio della trattativa con Unicredit si chiama Alessandro Rivera. Il premier accusa il direttore generale del Mef, che si è fatto affiancare da ben due advisor (Bank of America e Mediobanca), di essersi fatto infinocchiare da Andrea Orcel, un banchiere abilissimo che convinse all’epoca Mps ad acquisire a peso d’oro Antoveneta, da cui iniziò il declino della banca di Siena. E l’Italia è obbligata dall’Antitrust europeo a uscire da Mps entro l’anno". Draghi, assicura Dagospia, "è rimasto senza parole quando ha letto la gioia di Enrico Letta, neo eletto a Siena: 'Il Tesoro ha fatto bene, Unicredit voleva una svendita'".

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