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Mps, Mario Draghi in ginocchio dall'Ue per colpa del Pd. L'ira del premier contro la sinistra, trema il governo

Mario Draghi

Sandro Iacometti
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Ci sarà tempo per capire esattamente chi abbia fatto saltare il tavolo. Da Unicredit ieri si è fatto sentire direttamente il numero uno Andrea Orcel. Il quale, attraverso una lettera ai dipendenti, ha fatto sapere che la trattativa è stata avviata «con grande spirito di apertura» e che la banca «ha mantenuto la parola data, spingendo sempre al massimo per portare a termine con successo l'operazione di acquisizione». Dalla parte opposto nessuna spiegazione è arrivata dal ministero dell'Economia, ma chi nella maggioranza, e sono in tanti, tifava per il fallimento della trattativa, continua a parlare dello stop come di «un atto dovuto» per evitare la svendita del Monte, considerato il crinale su cui si era messo il negoziato. Una cosa è certa. Tutto avrebbe voluto Mario Draghi tranne che, proprio nei giorni in cui deve avviare il confronto sulla manovra di bilancio, essere costretto ad aprire una trattativa con l'Europa per mettere una pezza ad una inadempienza del governo italiano rispetto agli impegni presi nel 2017 dal governo italiano. Qualcuno ne pagherà le conseguenze. E non è detto che sia il suo fidatissimo Daniele Franco, che gode di stima incondizionata, ma chi quella patata bollente gliel'ha fatta trovare tra i piedi. E non è difficile capire chi sia il principale indiziato.

I COLPEVOLI
Del resto, è Letta, che si è voluto candidare a Siena, provocando il congelamento della partita per oltre un mese, è l'ex ministro Gualtieri, che in un anno e mezzo a via XX Settembre non è andato avanti di un millimetro, ed è sempre il Pd che ha prima messo in ginocchio la banca e poi ha deciso di salvarla entrando nel capitale e accordandosi con la Ue per l'uscita. Quello che Draghi non può ovviamente dire lo dice Maurizio Gasparri (FI): «Lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena risale alle malefatte che la sinistra ha compiuto nei decenni. Ha lottizzato i vertici della banca senese, ha contribuito a gestioni finite spesso in tribunale, ha continuato a gestire con arroganza situazioni e territori, fino all'elezione di Padoan a Siena dirottato poi dal Pd verso i vertici di un'altra banca. Ora anche Letta è fresco di elezione nel collegio senese e sembra quasi ignaro delle colpe della sua parte politica in questo autentico disastro. Chiediamo che il governo venga a riferire in aula». Insomma, la questione non riguarda solo la finanza, il mercato e i risparmiatori (per la cronaca ieri le azioni di Mps sono scese del 2,3%, quelle di Unicredit dell'1,72% e i bond subordinati del Monte hanno perso, secondo le scadenze, tra il 9 e il 17%), ma anche la tenuta politica del governo.

 

 

La grana senese si va ad aggiungere, infatti, alle tensioni già in atto per la manovre e va ad accrescere l'irritazione di Draghi per una macchina amministrativa che non funziona come dovrebbe. Irritazione ingigantita dal fatto che molti adesso si aspettano che sia lui a togliere le castagne dal fuoco, sfruttando la sua autorevolezza a Bruxelles e a Francoforte. M5S chiede al governo di «farsi valere in sede europea proponendo un rinnovo almeno semestrale del controllo pubblico sull'istituto senese». Lo stesso fa il Pd, con un bel po' di faccia tosta in più, aggiungendo pure che lo stop «rende necessaria la ricerca da parte del governo di soluzioni alternative di mercato per garantire al meglio il futuro del gruppo bancario». Ma l'esito dell'operazione, a prescindere dalla voglia che ha Draghi di presentarsi in Europa senza aver fatto i compiti e con il cappello in mano, è tutt' altro che scontato. Da Bruxelles hanno fatto sapere che l'esecutivo Ue «sta seguendo con attenzione i recenti sviluppi riguardanti Mps ed è in contatto con le autorità italiane», ma «è responsabilità dello Stato membro rispettare gli impegni presi e proporre modi per rispettare quegli impegni». In altre parole, non ci sarà nulla di automatico né di facile. Per ottenere la proroga (il termine, ignoto, dovrebbe scadere alla fine dell'anno o al massimo con l'approvazione del bilancio della prossima primavera) il governo dovrà o prendere con la Dg Comp della Commissione Europea nuovi impegni, oppure fissare obiettivi più impegnativi rispetto a quelli previsti nel 2017.

 

 

CONTO SALATO
Il che significa altri tagli, altri esuberi e un rafforzamento più robusto del capitale rispetto a quello previsto di oltre 3 miliardi. Il conto per i contribuenti potrebbe diventare assai salato. Sommando il costo di esuberi (1,5 miliardi) aumento di capitale (fra 4 e 4,5 miliardi) cessione degli Npl ad Amco (due miliardi) e altri oneri come la garanzia sui rischi legali (tre miliardi) si arriverebbe a una stima superiore agli 11 miliardi. Anche eventuali altre strade non sarebbero molto onerose. L'asticella fissata da Unicredit costringerebbe qualsiasi altro manager a motivare in maniera approfondita qualsiasi valutazione al ribasso di Siena. Non è un caso che Banco Bpm, il cui nome era circolato per partecipare a uno spezzatino con Unicredit, abbia immediatamente smentito il suo interesse fuggendo a gambe levate da quella che ormai è diventata una vera e propria trappola. 

 

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