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Luigi Di Maio e il patto del Quirinale: dai gilet gialli ai salotti di Macron e Draghi

Tommaso Montesano
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La parabola è compiuta. Qualcuno ricorderà il Luigi Di Maio del giugno 2019, quando, fresco di vittoria alle elezioni politiche del marzo del 2018, l'allora ministro dello Sviluppo economico, e vicepresidente del Consiglio, insieme ad Alessandro Di Battista, altro cavallo di razza del Movimento 5 Stelle, incontrò a Levavasseur, a Montargis, una cittadina a un centinaio di km a sud di Parigi, una delegazione dei "gilet gialli", il movimento populista francese nato per protestare contro l'aumento dei prezzi del carburante e l'elevato costo della vita. Bersaglio delle manifestazioni: proprio l'attuale presidente francese, Emmanuel Macron. Qualcuno avrà sicuramente negli occhi, anche, la foto di ieri mattina, che ritrae lo stesso Di Maio, nel frattempo diventato ministro degli Esteri, dietro il presidente francese, ancora Macron, nel momento in cui il capo dell'Eliseo e il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, siglano il trattato di cooperazione italo-francese. In queste due istantanee c'è tutta la parabola politica di Gigino, passato in poco più di due anni da capo politico di una formazione anti-sistema, il Movimento 5 Stelle partner della Lega nel "governo del cambiamento", a capo della diplomazia di un'Italia governata da una larga coalizione - comprensiva del suo M5S- guidata dall'ex governatore di Banca d'Italia e Banca centrale europea. Nel 2019, Di Maio incontrò Christophe Chalençon, leader dell'ala più dura del magmatico movimento dei gilet gialli. Ieri, con lo stesso completo scuro, con disinvoltura ha battuto le mani all'asse Draghi-Macron, che due anni prima avrebbe contestato.

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