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Gianfranco Fini, indiscreto: "Non vede l'ora di andare in tv per poterlo fare", una minacci a Berlusconi

Brunella Bolloli
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Prepariamoci, Gianfranco Fini sta tornando. Non che se ne sia mai andato, in verità: l'ex presidente della Camera era uscito dai radar della politica da quando è finito nella storiaccia di riciclaggio e presunto peculato che ruota attorno alla famigerata casa di Montecarlo e agli affari del cognato Giancarlo Tulliani, tuttora latitante. Fini stesso, insieme alla compagna Elisabetta, al suocero, al cognato, all'imprenditore re delle slot machine Francesco Corallo e ad altre quattro persone è sotto processo a Roma dal 2018. Ma adesso è stanco di stare nell'ombra. Chiede di accelerare i tempi. Vuole tornare a parlare in televisione, non candidarsi ma commentare l'attualità politica, dire la sua sulla partita del Quirinale, magari rispondere - a sinistra lo sperano in tanti - alle domande sulla corsa di Silvio Berlusconi al Colle.

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Lui è pur sempre l'uomo del "che fai, mi cacci?" della direzione nazionale del Pdl, 22 aprile 2010, e la sua immagine con il dito alzato e il muso duro rivolto al Cav è ancora lì, non si cancella dalla storia del centrodestra italiano. Allora Fini smaniava per fare politica da numero uno. Stare fermo a Montecitorio a suonare la campanella, seppure da presidente, gli andava stretto. Su giustizia, immigrazione, temi etici le posizioni ormai erano diventate inconciliabili. Berlusconi quel giorno gli disse chiaro: «Gianfranco, se vuoi fare politica, noi ti accogliamo a braccia aperte: dimettiti, vieni a farla nel partito e non da presidente della Camera!». Il leader di Forza Italia era risalito apposta sul palco dell'Auditorium della Conciliazione a Roma, per controreplicare all'intervento dell'ex leader di An. La platea scossa. I giornalisti retroscenisti eccitati.

LO STRAPPO
Quel giorno si è consumato lo scontro e Gianfry alla fine decise di mettersi in proprio con la sua pattuglia di fedelissimi. Ma l'avventura in solitaria, da numero uno, non ha avuto fortuna. Infatti, a pochi anni dalla fondazione, la sua creatura, Futuro e Libertà, è fallita sotto le percentuali da prefisso telefonico delle ultime sortite elettorali a cui ha partecipato, snobbata dal popolo votante anche a causa dell'appoggio all'allora governo Monti, nel 2013. Con lo sparpagliamento della corte finiana e l'inizio della vicenda giudiziaria, il successore di Giorgio Almirante si è eclissato. «Gianfranco fa il papà a tempo pieno», riferivano gli amici più stretti descrivendolo sereno, per nulla rancoroso con gli ex alleati di partito, sempre appassionato di pesca subacquea d'estate e di sci e della lettura della Gazzetta dello sport d'inverno. A giugno di quest'anno è rimbalzata sui social una sua foto con Francesco Storace con cui la fiamma dell'amicizia, evidentemente, non si è mai spenta.

«A pranzo con un Capo», ha scritto per l'occasione l'ex governatore della Regione Lazio. Volutamente con la maiuscola. Perché «il valore di un rapporto leale nei momenti belli e in quelli peggiori non si dimentica né si rinnega. E oggi due ore a pranzo sono volate via con l'affetto di allora». Il 6 dicembre i giudici del tribunale di Roma dovranno decidere sulla richiesta di stralcio avanzata dal suo legale, Michele Sarno. «Questo è uno dei pochi casi in cui la difesa vuole accorciare i tempi senza beneficiare dello sconto di pena previsto dal rito abbreviato», spiega Sarno, il quale, insieme al collega Francesco Caroleo Grimaldi, aveva già depositato una memoria difensiva del suo assistito in cui sono ripercorse tutte le tappe della vicenda in cui l'ex ministro degli Esteri è coinvolto, partendo dalle dichiarazioni, secondo Fini «incongruenti», di un altro imputato, Amedeo Laboccetta, difeso dall'avvocato Andrea De Sanctis, al viaggio nell'isola caraibi ca di Saint Martin (uno dei paradisi dove hanno sede le società off shore), ai rapporti con Giancarlo Tulliani, al momento ancora irreperibile a Dubai.

 

 

SOLDI SEQUESTRATI
Laboccetta, nel frattempo assolto in Appello dall'accusa di favoreggiamento nei confronti di Corallo, non era presente in Aula martedì, a piazzale Clodio. Così come non lo era Fini, che attende di sapere, lunedì, se la sua posizione sarà stralciata, con contestuale rinuncia all'esame dei testi. L'auspicio, per l'imputato eccellente e per la sua famiglia (anche i difensori dei Tulliani hanno chiesto lo stralcio delle rispettive posizioni) è che si arrivi a una sentenza in tempi rapidi, ma non è detto che i magistrati accolgano la richiesta, per altro non condivisa dai legali delle altri parti. Alla base ci sarebbe anche un altro motivo, che poco ha a che fare con il ritorno alla politica: il dissequestro dei beni bloccati dagli inquirenti.

Solo Gianfranco Fini si è visto bloccare quasi un milione di euro delle polizze sulla vita intestate alle figlie, mentre a 7 milioni di euro ammonta il totale dei beni sequestrati al cognato Giancarlo, alla compagna Elisabetta e al suocero Sergio. Secondo gli uomini delle Fiamme Gialle, che hanno condotto l'inchiesta, Corallo, insieme ad altri imputati, avrebbe fatto parte di un'associazione a delinquere che ha evaso le tasse e riciclato del denaro. Soldi che, una volta ripuliti, sarebbero stati utilizzati dallo stesso re delle slot per attività economiche e finanziarie ma anche nell'acquisto di immobili che hanno coinvolto i Tulliani. Come la famigerata casa di Boulevard Princesse Charlotte a Montecarlo, lasciata dalla contessa Anna Maria Colleoni ad An «per la buona battaglia». E poi finita, chissà come, nella disponibilità di Tulliani jr.

 

 

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