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Silvio Berlusconi al Quirinale? Il timore di Enrico Letta: chi nel Pd lo vuole votare

Fausto Carioti
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Non sono solo gli elettori del Collegio "Roma 1" a spaventare Giuseppe Conte. Il capo dei Cinque Stelle teme pure ciò che potranno fare i suoi 233 parlamentari negli scrutini segreti con cui si sceglierà il successore di Sergio Mattarella. Sa che una parte di loro la tentazione di votare per Silvio Berlusconi ce l'ha. Una parte probabilmente piccola, eppure non irrilevante. Potenzialmente decisiva. Perché il Cavaliere sul Colle (a differenza di Mario Draghi) garantirebbe la continuità della legislatura. Perché nelle trattative personali è il più bravo di tutti. E perché quella grillina è ormai una ciurma allo sbando, che nelle elezioni degli organi interni ignora regolarmente i candidati indicati da Conte e racchiude un gruppo di parlamentari in arretrato con le "restituzioni" e determinati a non staccare l'assegno chiesto dal Movimento, a costo di andarsene sbattendo la porta.

 

 

Conte sa che questo sentimento verso Berlusconi esiste, e infatti si guarda bene dal prenderlo di petto. Pure ieri, parlando del fondatore di Forza Italia, ha detto che «c'è rispetto nei confronti di un leader di una forza politica e di una figura istituzionale che ha fatto anche cose buone e interpretato la voglia di rinnovamento di una parte del Paese». Purtuttavia, ha aggiunto, ciò non basta per votarlo, poiché serve una figura «che possa unire il Paese».

La sua paura è la stessa di Enrico Letta. Il quale non si fida degli eletti del M5S, ma nemmeno di alcuni dei suoi. Incassato il "niet" di Sergio Mattarella al secondo mandato, il segretario dei democratici è a corto di opzioni. «L'unica carta che gli è rimasta è quella dell'incoronazione di Draghi, la più invisa dai nostri parlamentari», avverte un esponente del Pd. La stessa candidatura di Conte nel collegio della Ztl capitolina, spiega, «era nata dalla convinzione di Letta che l'ascesa di Draghi al Colle sia inevitabile e che il ricorso anticipato alle urne lo sia altrettanto». Se il segretario prende la strada che porta allo scioglimento delle Camere nella prossima primavera, è perché vuole compilare le liste elettorali a propria immagine e somiglianza, epurandole da tutti gli ex renziani rimasti nel partito: oltre venti degli attuali parlamentari. I quali, ovviamente, non avranno alcun motivo per seguire le sue indicazioni negli scrutini segreti che inizieranno il 20 gennaio. È per questo che, insieme a Conte, Letta sta valutando l'ipotesi di inscenare una sorta di Aventino.

 

 

Se Lega, Forza Italia, Fdi e Coraggio Italia, anziché cercare l'accordo con i giallorossi su un nome diverso, candideranno davvero Berlusconi, la risposta cui pensano i leader di Pd e M5S consiste nel far abbandonare l'assemblea a tutti i loro "grandi elettori", imitati probabilmente da quelli di Leu, comandati da Roberto Speranza. Diranno che è un modo per dimostrare agli italiani che il centrodestra, da solo, non ha i numeri per eleggere Berlusconi né nessun altro, ed è quindi costretto a scendere a patti con loro. Nei primi tre turni, infatti, serviranno 672 voti su 1.008, e dal quarto ne occorreranno 505; il centrodestra, delegati regionali inclusi, si ferma attorno a quota 450. Il senso vero della mossa, però, è un altro. Solo tirando fuori da lì tutti i loro parlamentari potranno avere la certezza che alcuni di loro non votino segretamente per Berlusconi o per un altro candidato non condiviso proposto dal centrodestra, magari facendolo vincere. L'uscita in massa dall'aula di Montecitorio, insomma, sarebbe una soluzione estrema, ma potrebbe essere l'unica in grado di dare a Letta e Conte la garanzia di non finire impallinati dai loro stessi franchi tiratori. Una prova non di forza, bensì di debolezza. 

 

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