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Quirinale, il retroscena: Enrico Letta contro Silvio Berlusconi mobilita anche le ambasciate amiche

Fausto Carioti
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La sinistra che chiama in soccorso gli amici oltre confine (a proposito di patriottismo progressista) contro Silvio Berlusconi. Il grido degli intellettuali d'area che torna a farsi sentire. Scene da anni Novanta e anni Zero, e invece è l'Italia di oggi. Il Pd, privo di nomi da candidare e di alleati con cui fare squadra nella partita per il Quirinale (con il caravanserraglio chiamato M5S e il cespuglio Leu va poco lontano), oggi ha in mano solo vecchi strumenti usurati dal tempo. Enrico Letta spera che funzionino e riescano a indebolire il Cavaliere quanto basta per farlo desistere dall'impresa, o per staccare da lui Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il segretario democratico ha già fornito un assaggio di ciò che sta per accadere: dinanzi al nome di Berlusconi candidato del centrodestra per il Colle, ha detto, «sta emergendo la sorpresa negli sguardi degli osservatori stranieri».

È vero. Puntuale, è tornato a parlare Bill Emmott, il giornalista che nel 2001, quando era direttore del settimanale inglese The Economist, definì l'allora candidato premier «unfit to lead», inadatto a governare. Stavolta, intervistato dall'Huffington Post, ha detto che «una sua elezione al Quirinale - che ritengo pressoché impossibile - sarebbe un disastro per l'Italia, che tornerebbe a essere materia di scherzo, e un pessimo segnale per il futuro della sua politica e della sua democrazia». È solo l'inizio. Perché, appunto, è vero ciò che dice Letta: all'estero, dove l'equazione «Italia uguale Paese delle Banane» è stata messa da parte fin ché c'è Mario Draghi, ma non cancellata, c'è sorpresa per la nuova avventura di Berlusconi. Però la storia diventa completa solo se si aggiunge che so no gli stessi esponenti della si nistra italiana a sollevare e gonfiare il caso nelle sedi "opportune". La macchina della delegittimazione internazionale, in somma, è partita, ma la benzina nel serbatoio la mettono Letta e i suoi.

 

 

Il giro delle ambasciate è terreno fertile per il Pd, soprattutto quando - come in questa fa se - sia a Washington che a Berlino comandano i loro referenti progressisti. In ogni sede diplomatica c'è almeno un anali sta che ha il compito di inviare al proprio governo rapporti sul la situazione politica del Paese ospitante, compilati in base al le informazioni ricevute conversando con politici e accademici locali. È anche su tali do cumenti che si forma l'idea che nelle altre capitali hanno dell'Italia. Da un po' di giorni, a Roma, come sempre accade in vista degli appuntamenti importanti, questi "contatti informali" si sono moltiplicati, e gli esponenti del Pd e i politologi di area progressista hanno colto l'occasione per enfatizzare l'"anomalia" rappresentata dalla candidatura di Berlusconi. Confidano che, in pubblico o in via riservata, qualche cancelleria o qualche ambasciatore più sensibile degli altri spieghi ai leader e ai parlamentari italiani che sarebbe meglio portare sul Colle un nome diverso.

Analogo lavoro viene fatto con le testate internazionali. Al Nazareno puntano molto su un servizio che dovrebbe uscire, oggi o domani, sul sito della Bbc, dedicato proprio alla candidatura di Berlusconi. Era anche a questo, raccontano dal Pd, che si riferiva Letta quando ha parlato della «sorpresa degli osservatori stranieri». Scontato che, dopo l'emittente inglese, altre faranno la stessa cosa. Tutto materiale per il "dossier internazionale" con cui i democratici italiani contano di fermare l'avversario riemerso dai loro incubi. Altro verrà dal vasto mondo dell'accademia progressista, che ha uno dei propri punti di riferimento in "Sciences Po", l'università parigina dove Letta ha insegnato sino a pochi mesi fa. La rete dei parlamentari socialisti europei, a Bruxelles e altrove, potrà garantire il solito contributo alla causa. Prepariamoci ad assistere alle repliche di un copione già visto, dunque. Come l'articolo di Michele Serra apparso ieri su Repubblica, nel quale chiede a tutti i rappresentanti del centrosinistra di dichiarare che l'elezione di Berlusconi, «nemico della convivenza repubblicana, della misura democratica» eccetera, sarebbe «una spaventosa offesa» per milioni di italiani.

 

 

Abile come sempre a demonizzare gli avversari, la sinistra non ha però in mano l'arma decisiva: un candidato in grado di sparigliare e convincere Salvinie Meloni ad abbandonare Berlusconi. Il quale punta a far arrivare l'assemblea dei 1.008 grandi elettori con un nulla di fatto alla quarta votazione, quando l'asticella per eleggere il successore di Sergio Mattarella scenderà a 505 voti, e ieri ha incassato con soddisfazione l'articolo in cui l'Economist avverte che l'ottimo momento dell'Italia «potrebbe subire un'inversione» se Draghi andasse al Quirinale, e quindi è meglio che resti dov' è. Non voleva essere certo un appoggio alla candidatura di Berlusconi, ma l'incapacità di Letta e Giuseppe Conte a trovare nomi alternativi trasforma ogni ostacolo incontrato da Draghi in una spinta ulteriore per il Cavaliere. 

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