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Silvio Berlusconi senatore a vita, il piano B per il Quirinale: retroscena, l'offerta a Mario Draghi dopo il 4° scrutinio

Fausto Carioti
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È una di quelle mosse che i politologi, sempre innamorati della terminologia anglosassone, chiamano «win-win». Chi la fa vince qualcosa, comunque vada a finire. È l’idea su cui si regge la strategia di Silvio Berlusconi per il Quirinale. Perché non è vero che il Cavaliere ha in mente una sola opzione, quella che lo vede eletto presidente della Repubblica, e che se non ci riesce viene giù Forza Italia e a seguire l'intero centrodestra, col patriarca deluso e infuriato che molla il partito al proprio destino. Berlusconi è assai più "politico" e realista di quanto piaccia descriverlo ai suoi avversari, e ha un "piano B" che lo farebbe uscire comunque dalla partita a testa alta. Il suo disegno prevede di far trascorrere con un nulla di fatto le prime tre votazioni, nelle quali il quorum per spuntarla è pari a 672 voti (i due terzi dell'assemblea dei 1.008 "grandi elettori"): un'asticella troppo alta. Dal quarto scrutinio, però, la soglia scende a 505. È in mezzo a queste due votazioni che Berlusconi intende scegliere la strada da prendere. Dipenderà dai voti che si sentirà in tasca. Se avrà certezze sufficienti sulla lealtà dei parlamentari del centrodestra, e il lavoro di "scouting" suo e dei suoi ambasciatori nel gruppo misto (114 tra senatori e deputati), in mezzo ai peones del M5S e nei partiti minori avrà avuto successo, garantendogli la cinquantina di voti necessari a consegnargli la vittoria, scioglierà la riserva e tirerà dritto col "piano A". Ma dovrà esserne sicuro quanto basta, perché, come ripete ai suoi interlocutori, «non ho alcuna intenzione di fare la fine di Prodi», che nell'aprile del 2013 fu impallinato da 120 franchi tiratori mentre era a pochi passi dal portone del Quirinale. Altrimenti, il progetto prevede di imboccare l'altra strada.

 

 

INVERSIONE AD "U"
Servirà una manovra spericolata, a maggior ragione dopo tutto quello che gli esponenti di Forza Italia stanno dicendo in questi giorni, ma nel tourbillon di quelle ore la coerenza non sarà la prima qualità richiesta. Berlusconi, a quel punto, deterrà un "pacchetto" di almeno 450 voti. Se non potrà usarli per se stesso, potrà comunque farli fruttare, dirottandoli su quella che ritiene la seconda scelta migliore. Chi? Mario Draghi, ovviamente. Lo stesso Draghi che oggi ha in Berlusconi l'ostacolo principale sulla strada tra palazzo Chigi e Quirinale. Quel Draghi del quale, ogni giorno, gli esponenti di Forza Italia chiedono la permanenza alla guida del governo, insistendo su quanto egli sia indispensabile per la stabilità, il prestigio e la crescita del Paese. Tesi che evaporerebbe nell'istante in cui il Cavaliere dovesse puntare l'indice sull'ex presidente della Bce. A quel punto, nessuno potrebbe tirarsi indietro, nemmeno a sinistra. E per quanti franchi tiratori possa incontrare Draghi, partendo da una base così ampia il traguardo dei 505 voti non potrebbe sfuggirgli. I guadagni per Berlusconi sarebbero comunque alti. Una vittoria politica, innanzitutto: a conti fatti, il prossimo presidente della repubblica non lo avrà scelto e messo lì Enrico Letta e nemmeno Giuseppe Conte, capo (almeno sulla carta) del gruppo di parlamentari più numeroso. Sarà stato invece il più anziano di tutti i leader, che fu addirittura espulso dal Senato otto anni fa. Berlusconi, il king maker.

 

 

La certificazione che ancora oggi, 28 anni dopo la sua discesa in campo, il destino del Paese lo decide lui. Non una riabilitazione, perché lui odia quella parola, ma l'affermazione definitiva della sua centralità politica. A quel punto, la nomina a senatore a vita rappresenterebbe il suggello finale. Non ci sarebbero ragioni per cui il neo insediato presidente della repubblica dovrebbe negargliela: magari insieme a Romano Prodi, secondo l'ipotesi che ormai gira da tempo. Per chiudere così, con un gesto di pacificazione nazionale, la lunga guerra tra le due Italie. Questo, almeno, è il disegno attuale del presidente di Forza Italia. Che un primo risultato lo ha già ottenuto: sta facendo ballare tutti al suono della propria musica. La conferma viene da un conciliabolo che si è appena tenuto al Nazareno, alla presenza di Letta. Pur di uscire dall'angolo, i vertici del Pd sono tentati dal proporre al centrodestra l'elezione di un forzista. Non Berlusconi, va da sé, e nemmeno uno qualunque. Bensì Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato e, in passato, membro del Csm. Un nome non casuale: il suo trasloco sul Colle libererebbe la poltrona più importante di palazzo Madama, che a quel punto il Pd reclamerebbe per uno dei suoi: Luigi Zanda e Roberta Pinotti i candidati. Sarebbe un evento nuovo e clamoroso: il primo esponente del centrodestra (nonché la prima donna) ad arrivare lassù. Difficile, però, che a Berlusconi basti. 

 

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