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Italia green? Siamo così "verdi" che torniamo al carbone: riaperte due centrali, ecco i costi dell'emergenza

Fausto Carioti
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A cosa serve la lotta alle emissioni di anidride carbonica? Ad incentivare il ricorso al carbone. Eterogenesi dei fini della politica energetica Ue: la fonte più inquinante sta vivendo una nuova ed improvvisa giovinezza. L'Italia non fa eccezione, anzi. La situazione è grave per tutti i Paesi europei: i metri cubi di gas e i chilowattora scarseggiano e dunque il loro prezzo aumenta. La tassazione a carico delle fonti fossili, introdotta per penalizzare chi "sporca" l'atmosfera, fa il resto: all'inizio del 2021 il prezzo dei diritti di emissione era attorno ai 33 euro per tonnellata di CO2, oggi oscilla tra gli 80 e i 90 euro. A breve, avverte il quotidiano britannico Financial Times, dovrebbe superare la soglia dei 100 euro e salire «almeno» a 200 euro nei prossimi anni. Altri costi che peseranno su famiglie e imprese.

 

 

Proprio su questi temi, nei giorni scorsi, è fallito il Consiglio europeo che ha visto attorno allo stesso tavolo Mario Draghi e gli altri capi di Stato e di governo dei 27: tutti solidali a parole, ma quando si tratta di passare ai fatti, ognuno per sé. Se ne riparlerà a marzo, sperando che l'inverno non sia troppo rigido e che il gas che la Russia di Vladimir Putin vende all'Europa continui ad arrivare. Per chi, come l'Italia, non ha il nucleare e si rifiuta di estrarre il metano dai giacimenti del mare Adriatico, è peggio che per gli altri. Già nel 2022 l'impatto sui costi sarà più doloroso del previsto. Dal primo gennaio, a regole invariate, è previsto che nelle nostre bollette il prezzo del gas al metro cubo aumenti di un ulteriore 61%, e quello di ogni chilowattora del 48%. Sono le stime di Nomisma Energia, l'istituto guidato dal professor Davide Tabarelli, anticipate ieri sul Sole-24 Ore. I rincari in bolletta saranno inferiori, poiché nei prossimi giorni il governo annuncerà nuovi provvedimenti diretti proprio a mitigare gli effetti dell'aumento dei prezzi, che se scaricato interamente sui consumatori accrescerebbe il numero di famiglie insolventi e costringerebbe altre imprese alla chiusura.

Ma è la solita partita di giro, già vista all'opera tra fine giugno e settembre, allorquando, tra interventi calmieranti e nuovi sconti per le famiglie più bisognose, l'esecutivo stanziò oltre 4 miliardi di euro: soldi che comunque gli italiani pagheranno, sotto forma di maggiore tassazione o debito pubblico. E adesso, con i provvedimenti in arrivo, dovrebbero essere messi sul piatto altri 4 miliardi, per i soli primi tre mesi del 2022. Nel disperato tentativo di limitare i danni, allora, non resta che aggrapparsi al carbone: fonte inquinante, ma comunque relativamente conveniente, e capace di differenziare la produzione di elettricità. Lo sta facendo la Germania, che ha deciso di chiudere le centrali atomiche nel 2022 e anche per questo, da mesi, ha iniziato ad ampliare le proprie miniere di carbone. Combustibile il cui uso nelle centrali tedesche, nei primi undici mesi dell'anno, è già au mentato del 26%.

 

 

Sta facendo così, senza clamore, pure l'Italia. Da gennaio a novembre, nota Tabarelli, la produzione elettrica da carbone è cresciuta del 20%. E non è finita qui. Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, nei giorni scorsi ha chiesto alla società A2A la riapertura urgente della centrale di Monfalcone, in provincia di Gorizia, alimentata a carbone: dovrebbe essere convertita al metano, era ferma da mesi e il suo personale, in solidarietà, è stato richiamato di corsa sul posto di lavoro. Storia simile a La Spezia: la centrale Enel a carbone era stata chiusa da due settimane e Terna ha appena chiesto di riattivarla per «garantire la continuità del servizio e della sicurezza del sistema elettrico».

Non sono riaperture definitive, centrali simili possono lavorare "a singhiozzo", quando si palesa un'emergenza. Ma la recente chiusura (temporanea, si spera) di quattro centrali nucleari in Francia, da cui proviene un terzo dell'elettricità che l'Italia acquista dall'estero, fa capire quanto possa essere ancora importante il ruolo del carbone nazionale. Sono scelte imposte dall'urgenza, che non dovrebbe esistere in presenza di una seria strategia energetica nazionale. Ma è proprio questa che manca all'Italia. Intervistato sul Financial Times di ieri, il responsabile della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha detto che il nostro Paese dovrebbe ripristinare la produzione di energia atomica, ferma dal 1987. Tutte le tecnologie, compresa quella dei piccoli reattori modulari (il cosiddetto "nucleare di quarta generazione"), devono essere prese in considerazione secondo il ministro. Sudi lui sono piovuti i soliti anatemi dei fondamentalisti verdi, mentre il resto del governo, Draghi incluso, continua ad ignorare l'argomento energia, se non per confermare la propria fede nel dogma europeo della decarbonizzazione.

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