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Mario Draghi al Quirinale, indiscrezioni: "La fumata bianca già alle prime votazioni". Sarà presidente martedì?

Pietro Senaldi
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A Palazzo Chigi c'è chi è pronto a scommettere che Draghi sarà eletto presidente della Repubblica entro le prime tre votazioni, con maggioranza qualificata (accadrà martedì, scommette chi ama sbilanciarsi. Sulla carta, sarebbe la sconfitta della politica, che non riesce a esprimere il capo dello Stato ed è costretta a ricorrere a un cavaliere bianco. Nella pratica, sarebbe il capolavoro dell'ex governatore della Banca Centrale Europea. Tutti volevano, e tuttora vogliono, che Super Mario resti dov' è ora; solo lui, e dal primo momento nel quale ha accettato l'incarico di premier, desidera andarsene. Se riuscirà nel proposito, sarà perché sarà stato capace di far sembrare che la sua nomina sia la vittoria un po' di tutti. La premessa. Il premier è un po' logorato, ancora di più infastidito dalla maggioranza che lo sostiene, alla quale rimprovera di condizionarlo troppo nell'azione di governo, ricevendo come risposta dai partiti di non essere sufficientemente coinvolti. Dialogo tra sordi. Ma non è solo questo. Draghi non si aspettava che la nave Italia fosse così difficile da guidare, imbrigliata da ormeggi che le impediscono di prendere il largo. Il premier ha fatto il possibile, e anche qualcosa di più, sulla vaccinazione di massa, ha scritto uno splendido piano di impiego dei soldi europei del Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza, ma già vede che una cosa è teorizzare imprese, altra sarà mettere le cose a terra. 

 

 

 

 

AZIONE A RILENTO - Attualmente i prestiti europei vengono utilizzati per finanziare progetti varati prima del suo arrivo, mentre i bandi di quelli nuovi stanno andando deserti, come è capitato a quelli sul digitale. Troppe regole, troppa burocrazia, le imprese non riescono a partire. Lavorano solo le Ferrovie, grazie a una gestione commissariale. Il bagno di sangue è prossimo, e per allora l'uomo che ha speso una vita a costruirsi l'immagine di infallibile non vorrà essere sulla tolda di comando. La trama. Nella conferenza stampa prenatalizia, il premier aveva fatto capire ai partiti le proprie ambizioni quirinalizie. I leader si sono agitati, ma questo era previsto, e gli schieramenti si sono attorcigliati su loro stessi nel tentativo di trovare una soluzione alternativa alla promozione di Super Mario al Quirinale. La candidatura di Berlusconi ha condizionato il centrodestra. I giallorossi di fatto non sono stati capaci di rispondere con altro se non con la riproposizione di Mattarella, a dispetto della volontà manifestata ripetutamente dal presidente in carica. Un muro contro muro che di fatto ha tolto terreno anche alle candidature alternative. È quello su cui ha sempre scommesso il presidente del Consiglio: che la politica si ingessasse e fosse costretta a convergere su di lui; meglio subito, alle prime chiamate, piuttosto che come accadde con il bis di Napolitano, dopo aver palesemente fallito ogni tentativo. Il calcolo del premier si basa sul fatto che nessun leader ha i numeri per decidere il presidente, e con 7 protagonisti sulla scena - Berlusconi, Salvini, Meloni, Letta, Conte e Di Maio, Renzi -, più o meno tutti con un numero di truppe simili, nessuno poteva ergersi a ruolo di regista dando qualche garanzia credibile; tanto più che, al loro interno, gli schieramenti sono divisi, malgrado il tentativo dei capibastone di farli sembrare uniti. 

 

 

 

 

LEADER IN DIFFICOLTÀ - La svolta. Nelle ultime ore Berlusconi sembra prestare più ascolto alle voci di chi, anche tra gli amici, gli dice che sta tentando un'impresa impossibile e che, fallirla, coinciderebbe con la sua fine politica. Silvio sarebbe disposto a mollare, ma cedere per Draghi gli darebbe molto fastidio. Neppure Salvini vuole Draghi, che nel centrodestra può contare davvero solo su Fratelli d'Italia. Sul fronte giallorosso, Letta è da giorni schierato con il premier, ha provato a convincere Conte nel vertice della sinistra, ma l'avvocato non voleva sentire ragioni e ha proposto nomi avventurosi e che ricordassero la sua vicinanza al mondo cattolico, come Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant' Egidio. Respinto con perdite, l'avvocato pugliese ha assistito allo sfarinamento del proprio partito nel vertice di M5Se si è fatto portare da Di Maio sulle posizioni di Draghi. Dopo di che, per recuperare centralità mediatica, ha chiesto udienza al nemico di sempre Salvini, in un'altra tappa del percorso di umiliazione personale. La soluzione. Un contentino a tutti, ecco la via attraverso la quale Draghi può ascendere al Quirinale.

 

 

 

 

Berlusconi sarebbe accontentato con la nomina di Gianni Letta a segretario generale della Repubblica e con la promozione di Brunetta a premier, pro tempore, anche se l'interessato spera, o forse si illude, di trasformarla in definitiva. Sono quasi due rospi da inghiottire per Silvio, che potrebbe essere però consolato dalla nomina a senatore a vita. Quanto alla Lega, il governo con tutti i leader dentro chiesto da Salvini potrebbe diventare qualcosa di vicino alla realtà. Soprattutto, al capo del Carroccio verrebbe riconosciuto il controllo del ministero dell'Interno, dal quale Matteo potrebbe muovere per rilanciare il partito in vista della prossima campagna elettorale. C'è poi la porta aperta di un anno di legislatura davanti per rifare la legge elettorale, casomai il Viminale non portasse i consensi sperati e il proporzionale fosse più conveniente per Salvini. Con il miraggio del nuovo sistema di voto verrebbero cooptati anche il fronte centrista e Renzi, che certo non prenderebbe parte in prima persona al nuovo governo. Meloni avrebbe vinto, ottenendo di rimanere all'opposizione e di avere un nome gradito al Quirinale, e pure Letta, che si affretterebbe a piazzare qualche donna al governo, sanando il peccato di genere del Pd nell'esecutivo Draghi. Di Maio si sarebbe mostrato il deus ex machina dei grillini e Conte verrebbe risarcito con un ministero. Tutto perfetto, resterebbe solo da trovare chi sostituirà Draghi a Palazzo Chigi. Ovviamente, questo vale fino a che non si entra in Aula, perché da allora tutto ridiventa possibile. 

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