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Ucraina, Matteo Salvini rompe col Pd: sanzioni alla Russia, si può aprire la crisi di governo

Fausto Carioti
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Davanti alla «inaccettabile violazione della sovranità democratica e dell'integrità territoriale dell'Ucraina», Mario Draghi annuncia nuove ritorsioni contro Mosca, concordate a livello europeo. «Stiamo già definendo misure e sanzioni», avverte il premier. Il responsabile della politica estera Ue, lo spagnolo Josep Borrell, assicura che il pacchetto di provvedimenti, in vigore già da oggi, «farà male alla Russia, molto male». Assieme all'aumento dei prezzi delle materie prime, subito schizzati verso l'alto, farà male anche alle imprese e alle famiglie italiane. L'ultima cosa che ci voleva per un Paese indebitato, impegnato a rialzarsi e dipendente dal metano russo. Il problema è anche politico. Nella maggioranza, Lega e Cinque Stelle già parlano una lingua diversa dai partiti del "fronte atlantico": Pd, Forza Italia e Italia Viva. E se le sanzioni saranno dure come promesso, le crepe si faranno più profonde.

 

 

IL "FATTORE NATO"
Tutti i partiti, inclusi quelli più inclini a comprendere le ragioni di Mosca, sono stati comunque costretti a condannare la mossa di Vladimir Putin. Anche perché non farlo lascerebbe un segno: certe prese di posizione restano negli archivi (pure in quelli del dipartimento di Stato americano) e chi oggi mantenesse una posizione terza dinanzi all'invasione, domani avrebbe problemi a governare un Paese della Nato che ospita 12.400 soldati statunitensi. Prova ne sia che anche da parte dei Fratelli d'Italia si è registrato un cambiamento di toni. L'8 febbraio Giorgia Meloni aveva invocato «terzietà per l'Ucraina», accusando il presidente americano Joe Biden di «usare la politica estera per coprire i problemi che ha in patria». Quattro giorni dopo si era appellata «a tutte le parti in causa», senza distinzioni, «per un'immediata de-escalation». Ieri, la presidente di Fdi ha abbandonato l'equidistanza. Ha spiegato che il suo partito «condanna fermamente il riconoscimento unilaterale da parte della Federazione russa delle repubbliche separatiste del Donbass» e sostiene «l'appartenenza dell'Italia al blocco occidentale e alla Nato, senza ambiguità». Pur bollando come «un errore» la strategia di Barack Obama e Biden in quell'area, la Meloni ha chiesto «il ritiro delle truppe russe dal Donbass». Sulle sanzioni, però, nessun impegno: «Valuteremo quando si capirà quali sono. Sulla Crimea, in passato, non mi pare siano state efficaci».

 

 

Meno semplice è la posizione di chi, come Salvini, guida un partito di governo. Il leader che indossava la maglietta col volto di Putin non c'è più, il colloquio registrato all'Hotel Metropol tra l'"ambasciatore" leghista Gianluca Savoini e gli emissari del Cremlino è un brutto ricordo e, da quando il Carroccio governa con Draghi, i suoi eurodeputati votano regolarmente le risoluzioni contro l'espansionismo di Mosca. Le differenze, però, rimangono, ed è apparso subito chiaro che il capo della Lega faticherà a ingoiare il rospo. «Se siamo membri di un'alleanza che fa una scelta, la sosteniamo». Ma le sanzioni, ha avvertito Salvini, dovranno essere «l'ultima delle soluzioni». Anche i Cinque Stelle finiscono sotto osservazione ogni volta in cui i legami atlantici sono messi sotto sforzo: la vicinanza di Beppe Grillo al regime cinese non è passata inosservata nemmeno a Washington. Giuseppe Conte, ieri, ha pesato le parole: «Questa iniziativa della Russia segna un innalzamento del livello critico. Una risposta in termini di inasprimento delle sanzioni credo che ci stia tutta». Resta da capire quanti parlamentari sono con lui anziché con l'ex grillino Alessandro Di Battista, contrario alle sanzioni perché «colpirebbero più l'Europa della Russia stessa».

 

 

TRA MOSCA E IL PPE
Più semplice la posizione degli altri partiti. Piero Fassino, "ministro degli Esteri" del Pd, è un interlocutore abituale dell'ambasciata americana a Roma. Ieri ha detto che «il gas è importante, ma i valori vengono prima». E nel centrodestra la vecchia amicizia con Putin non condiziona la linea di Silvio Berlusconi. Oggi il Cavaliere parteciperà in collegamento all'incontro del Ppe sull'Ucraina, ma già ieri ha spiegato la linea ai suoi: «La nostra scelta di campo atlantica non si discute. Siamo a favore di sanzioni graduali e commisurate, stando attenti alle ricadute sui costi dell'energia e l'inflazione, che rischiano di nuocere ai nostri elettori e stroncare la ripresa». Berlusconi voleva anche telefonare a Putin, ma ad Arcore lo hanno convinto a rinunciare: servono argomenti forti per fare cambiare idea al presidente russo, e in questo momento non li ha nessuno

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