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Mario Draghi: "Niente gas? Poco male". Il sospetto: quello che il premier nasconde sulla crisi energetica

 Mario  Draghi

Fausto Carioti
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«Sacrificio piccolo», assicura Mario Draghi nell'intervista al Corriere della Sera. «Stiamo parlando di una riduzione di 1-2 gradi delle temperature del riscaldamento e di variazioni analoghe per i condizionatori». E questo per avere la pace in Ucraina. Fosse tutto qui, il prezzo da pagare per una rapida rinuncia al metano russo, metterci la firma sarebbe facile. Di facile, senza dubbio, c'è l'entusiasmo del presidente del Consiglio, apparentemente convinto che la gran parte dei problemi si possa risolvere «sbloccando gli investimenti nelle energie rinnovabili» e grazie a quei 9 miliardi di metri cubi di gas naturale in più, pari a un terzo di quello che oggi acquistiamo dalla Russia, che dovrebbero arrivare dall'Algeria. Il Paese nordafricano diventerebbe così il nostro principale fornitore di metano (al momento è il secondo col 23% del totale, dietro alla Russia, che ce ne vende il 43%). Aumentando i quantitativi acquistati dall'Azerbaijan, dal Qatar e da altri Paesi, il problema dovrebbe ridursi a una sostanziale quisquilia: «La diversificazione è possibile e attuabile in tempi relativamente brevi, più brevi di quanto immaginassimo solo un mese fa», garantisce il premier. 

 

 

Nessun accenno al gas liquefatto che dovrebbero inviarci via nave gli Stati Uniti, dai quali è chiaro che potrà venire solo un aiuto marginale. E nulla, stavolta, sulla riaccensione delle centrali a carbone, che sarebbe relativamente semplice e potrebbe darci elettricità a costo contenuto: trapela la volontà di non urtare la suscettibilità del fronte progressista e del ministro Roberto Cingolani, intenzionati a non cedere nulla sugli obiettivi di decarbonizzazione fissati (prima della guerra in Ucraina) a Bruxelles, che ci obbligano a ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990. Si capisce così perché l'unico partito a condividere le parole di Draghi sia il Pd, dove si parla di «totale sintonia» con lui, mentre il centrodestra risponde con un silenzio che la dice lunga su cosa se ne pensi dentro Lega e Forza Italia.

LE PROSPETTIVE - L'ottimismo di Draghi non trova riscontri nemmeno altrove. Sulla rivista Energia diretta da Alberto Clò, ad esempio, l'analista Francesco Sassi ha già messo in guardia dalla «inaffidabilità dimostrata da Algeri nell'avanzare solide politiche e strategie energetiche. Gli scarsi investimenti in nuovi giacimenti, dai costi produttivi ben più alti rispetto i precedenti, e l'instabilità politica e sociale sono un aspetto ormai cronico del Paese». E in Germania, Paese che ha un livello d'industrializzazione e una dipendenza simili ai nostri (compra dalla Russia il 55% del gas naturale che importa), l'idea di rinunciare al metano Gazprom è ritenuta suicida.

 

 

Ieri la Bda, la potente Confindustria tedesca, e la Dgb, la maggiore confederazione sindacale, hanno voluto lanciare insieme un nuovo messaggio al governo di Berlino e alla commissione Ue. I presidenti delle due associazioni, Rainer Dulger e Rainer Hoffmann, hanno avvertito che «un immediato embargo sul gas comporterà perdite di produzione, arresti della produzione, ulteriore deindustrializzazione e continue perdite di posti di lavoro». Spiegano che non si può sostenere l'Ucraina se si è economicamente deboli, e il blocco delle importazioni di gas dalla Russia proprio questo causerebbe: metterebbe la Germania in una «posizione di debolezza». Le sanzioni, quindi, debbono essere mirate e tali da ridurre il più possibile i danni all'economia di chi le introduce.

Draghi non ha parlato della contrarietà tedesca, né il suo intervistatore (il direttore del Corriere, Luciano Fontana) ha ritenuto il tema rilevante. Eppure questo sembra essere l'unico motivo in grado di sorreggere l'ottimismo di Draghi: la consapevolezza che l'Europa non farà nulla che Berlino non voglia, e siccome a Berlino hanno bisogno di tempo per sganciarsi dal gas russo, anche noi avremo tempo per attrezzarci e trovare alternative. Durante il quale Mosca incasserà altri miliardi vendendoci il metano, coi quali finanzierà l'invasione dell'Ucraina. In tal caso, ovviamente, il pugno di ferro che Draghi agita verso il Cremlino sarebbe una clamorosa esagerazione.

 

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