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Missione in Africa, chiediamo il gas a chi non lo ha: Angola-Congo, il suicidio perfetto di Draghi e Di Maio

Fausto Carioti
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Gli intestatari dei biglietti aerei sono cambiati: con Mario Draghi positivo al Covid, spetta a Luigi Di Maio e Roberto Cingolani, oggi e domani, volare in Angola e Congo, per parlare di forniture di gas con i governi locali. I dubbi, però, restano gli stessi: a che serve la trasferta, se il contributo che questi due Paesi possono dare alla causa italiana è pressoché nullo? Consola sapere che con i ministri ci sarà l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi. Ma l'impressione che il governo si muova solo per dare l'impressione di fare qualcosa, senza avere una strategia definita, è forte.

Di certo, se Draghi, Di Maio e Cingolani avessero la volontà politica di imporsi su parte della sinistra e sull'ala del M5S che fa capo a Giuseppe Conte, troverebbero a chilometro zero, sotto le acque italiane, più metano, aun costo di gran lunga inferiore. Ma questa volontà non l'hanno, come dimostra la recente approvazione del "Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee" (Pitesai), che conferma i vincoli all'estrazione voluti dall'allora presidente del consiglio del governo gialloverde.

 

 

ZERO SITI - Sono i numeri e gli analisti dell'energia a bollare come inutile la missione odierna. Lo scopo è rimpiazzare (anche se non nell'immediato, confidando che la Germania ci aiuti a prendere tempo) la Russia: primo Paese al mondo per riserve di gas (il 20% del totale), secondo produttore (dopo gli Stati Uniti) e venditore, sinora, del 43% del metano che l'Italia importa ogni anno. In questa operazione, il compito di Algeria e Azerbaijan, già fornitori dell'Italia, è chiaro, sebbene più complicato di quanto lo faccia il governo: attraverso i gasdotti TransMed (che emerge a Mazara del Vallo) e Tap (che termina in Salento), debbono far arrivare sul nostro suolo quanto più gas possibile dai loro giacimenti, anche se per sostituire la metà di quello che giunge dalla Russia, primo obiettivo fissato a palazzo Chigi, ne occorrerà di più. Da qui, la scelta di rivolgersi a fornitori minori.

Le mete del viaggio di Di Maio e Cingolani, però, non appaiono in grado di svolgere un ruolo minimamente rilevante. Nella classifica mondiale dei Paesi detentori di riserve di gas l'Angola figura al quarantesimo posto. E una cosa è averlo nel sottosuolo e un'altra estrarlo: servono investimenti e tecnologie, che laggiù mancano. Salvatore Carollo, analista e trader, descrive così la situazione su Energia, la rivista diretta da Alberto Clò: «In Angola non ci sono giacimenti di gas. Esiste solo il gas associato ai campi petroliferi (di pessima qualità) che viene inviato ad un impianto di liquefazione di proprietà di una joint venture di cinque partners e di cui l'Eni possiede solo il 13,6%». Questo gas liquefatto, o Gnl, viene di regola acquistato dalle compagnie asiatiche, che pagano il prezzo più alto.

 

 

Morale della storia, anzi del viaggio: in Angola «l'Italia sarà accolta amichevolmente, ma certamente non potrà ricevere garanzie di forniture di gas».
Peggio ancora è messa la Repubblica del Congo, che nella classifica mondiale dei Paesi detentori di riserve di gas occupa il cinquantatreesimo posto e nelle statistiche internazionali nemmeno appare tra gli Stati che hanno estratto o venduto metano nel corso del 2020. Pure in questo caso, infatti, il verdetto dell'analista è senza appello: «I dati disponibili presso le varie fonti non mostrano l'esistenza di riserve certificate che possano garantire una produzione importante e duratura nel tempo e men che mai esportazioni di un certo rilievo verso l'Italia».

Difficile, quindi, comprendere il senso del comunicato con cui Draghi, ieri, ha fatto sapere di aver discusso al telefono con il presidente della Repubblica del Congo, Dénis Sassou N'Guesso, riguardo «all'ampio potenziale del partenariato bilaterale, in particolare nel settore energetico».

 

 

INTANTO, IN ADRIATICO... - Anche perché esiste un'alternativa ragionevole ed economica: sono i giacimenti di gas nei fondali marini italiani. Una stima prudente li valuta attorno ai 70 miliardi di metri cubi, ma siccome non si fanno esplorazioni da tempo, economisti dell'energia del calibro di Davide Tabarelli parlano di riserve pari a 200 miliardi di metri cubi di gas. Il problema è politico: sono i divieti introdotti negli ultimi anni, confermati e scolpiti nel Pitesai avviato dal primo Conte (nel quale proprio Di Maio era ministro dello Sviluppo economico) e varato di recente dal governo Draghi. È a causa di questi veti che la produzione annuale italiana di gas è crollata dagli oltre 21 miliardi di metri cubi degli inizi degli anni 2000 ai 3,3 miliardi del 2021 (ogni anno, per avere un'idea, ne usiamo circa 75 miliardi). Così, mentre i nostri ministri vanno a cercare improbabili fornitori in Africa centrale e meridionale, la Croazia piazza le sue trivelle offshore e pompa il gas dell'Adriatico, impoverendo quelli che sarebbero i nostri giacimenti.

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