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Elezioni, ecco quando si torna davvero a votare. La manovra di palazzo: cosa può succedere

Mario Draghi

Alessandro Giuli
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Elezioni anticipate, oppure rinviate se non addirittura sospese? Mentre il circo mediatico s' interroga sull'eventualità che il governo di Mario Draghi alzi bandiera bianca prima della naturale scadenza (marzo 2023), assediato com' è dalle contraddizioni della propria maggioranza e in particolare dalle bizze del Movimento Cinque stelle, si fa strada lo spettro di un allungamento della legislatura motivato con un nuovo stato d'emergenza di natura bellica. Ne hanno scritto il Tempo e Affaritaliani.it, in un retroscena a tinte fosche su una presunta e quasi impersonale volontà (tendenza Deep State, per capirci) di provvedere a una "Finanziaria di guerra" da anticipare in estate anziché nella consueta sessione autunnale, così da mettere in sicurezza il piano energetico nazionale per fronteggiare il blocco dell'importazione di gas dalla Russia di Vladimir Putin.

Risultato: la larghissima maggioranza manterrebbe in piedi l'esecutivo tecno-politico lasciando che sia Draghi a incaricarsi dell'incombenza, con un assetto invariato nella composizione delle attuali Camere. Fantapolitica? Non è detto. E forse c'è di più.

 

 

Nei corridoi dei Palazzi romani circola un lacerto di conversazione abbastanza eloquente: alla domanda sulle reali possibilità di giungere indenni fino alla primavera, un oligarca draghiano (oligarca in senso buono però) avrebbe risposto così, sardonicamente: «Primavera di quale anno?». È soltanto una battuta di circostanza, ovvio, che si può leggere come l'innocente vaticinio di un nuovo governissimo post elettorale; eppure potrebbe rivelarsi anche un'allusione sottile alla prorogatio dello status quo. Prospettiva che ribalta il ritratto di un'impalcatura governativa scricchiolante sotto le piagnucolose minacce di Giuseppe Conte - «vogliono cacciarci dalla maggioranza» - e le ricorrenti (ma sacrosante) minacce dell'autoproclamato "centrodestra di governo" (Lega e Forza Italia) sulla delega fiscale.

LA COSTITUZIONE - Fuori da spifferi e sussurri provenienti dai salotti damascati della Capitale, torreggia pur sempre la Costituzione italiana che impone al Parlamento un mandato quinquennale non derogabile se non per la dichiarazione di uno "stato di guerra, deliberato dal Parlamento in seduta comune, che può stabilire, ove occorra, di prorogare la durata delle Camere". È appunto il fantasma di un conflitto globale e dichiarato che può giustificare una simile avventura?

Chissà. Dopotutto sul dossier russo-ucraino gravano enormi incognite ed è un fatto conclamato che l'occidente stia già combattendo contro Mosca, sia pure per procura e prevalentemente con armi economico-finanziarie. Ma non è da escludere un'ulteriore escalation putiniana, magari in coincidenza con l'anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale che ricorre il 9 maggio. Proprio il giorno successivo è previsto l'incontro alla Casa Bianca tra il premier italiano e il presidente statunitense Joe Biden, una circostanza certo non marginale e che potrebbe marcare un salto di livello nell'intensità del nostro impegno sul fronte in lotta.

 

 

Al cospetto dell'ineluttabilità del fato, c'è tuttavia un'altra chiave di lettura (o di maldicenza) da non trascurare. Il caso vuole che all'inizio dell'anno prossimo scadano le cariche apicali delle più importanti partecipate di Stato - Eni, Enel e Poste su tutte - e all'arrivo della bella stagione dovranno essere nominate circa 350 figure tra presidenti, amministratori delegati, consiglieri di amministrazione e sindaci.

IL BOTTINO - Un bottino di guerra dalla durata triennale, sempre per restare metaforicamente in tema, che agita il sonno dei partiti dati per sconfitti alla prossima tornata elettorale. In particolare il Pd, classico esempio di potere separato dal consenso, che nel controllo delle classi dirigenti aziendali identifica uno storico contrafforte strategico. Ma il discorso vale pure per quei grillini dell'ala governativa che hanno dimostrato una sopraggiunta confidenza con l'arte del leading from behind. Teoricamente nulla vieta che un governo anticipi le proprie scelte anche in prossimità delle urne, a maggior ragione in una fase tempestosa come quella che stiamo vivendo. Sarà dunque Putin, con la sua imperscrutabile bellicosità, a rivelarsi paradossalmente il migliore alleato dei giallorossi? 

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